di Vittorio Daniele*
Nell’ultimo ventennio, il mercato del lavoro italiano è stato oggetto di una serie di riforme che lo hanno radicalmente trasformato. Dal Pacchetto Treu (L. 196/97) alla Legge Biagi (2003), fino ad arrivare al Jobs act (2015), il quadro di norme sul lavoro è divenuto via via più flessibile. Quanto siano profonde le trasformazioni del lavoro lo dimostra, per esempio, la crescita dell’occupazione a termine, la cui quota in Italia ha ormai superato la media dei paesi dell’Ocse (nel 2016, la quota di occupati dipendenti a termine in Italia era del 14 per cento, a fronte dell’11,5 della media Ocse). I dati nazionali non rendono, però, conto delle grandi differenze tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Nel periodo 1997-2017, il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è stato, mediamente, tre volte quello del Nord, mentre quello di occupazione più basso di ventuno punti percentuali. In un’economia duale come quella italiana, anche il mercato del lavoro è duale.
Occupazione e precarizzazione
L’andamento del tasso di occupazione nel Mezzogiorno nel periodo 1997-2017 è riportato nella figura 1. Fino al 2009, l’occupazione nella fascia 15-64 anni si mantiene a livelli maggiori rispetto a quello iniziale per subire, poi, una significativa flessione a seguito della recessione che investe il paese. Il tasso di occupazione nella fascia 25-34 anni ha un andamento simile. Per questa componente, però, l’aumento iniziale è davvero modesto: già a partire dal 2005 si osserva un declino. La caduta è, invece, brusca per il tasso di occupazione giovanile (15-24 anni) che, dopo un iniziale aumento, subisce una flessione continua, fin quasi a dimezzarsi rispetto al valore del 1997, in cui era pari al 19 per cento. Nel Mezzogiorno, come nel resto del paese, il tasso di occupazione è aumentato per i lavoratori nella fascia 45-54 anni e, in particolare, per quelli con più di 55 anni.
Fig. 1. Tassi di occupazione nel Mezzogiorno per alcune fasce d’età 1995-2017 (indice 1997 = 100)
Nel periodo in esame, l’occupazione nel Mezzogiorno è cresciuta meno che nel resto del paese; di conseguenza, il differenziale nei tassi di occupazione è aumentato. Come mostra la fig. 2, nel 1997, il tasso di occupazione meridionale era l’82 per cento di quello medio nazionale; nel 2017, il 76 per cento. Una dinamica simile ha riguardato il tasso di occupazione giovanile e quello della fascia 25-34 anni. Nonostante le riforme avessero l’obiettivo di accrescere l’occupazione nelle regioni meno sviluppate, il dualismo tra Centro-Nord e Mezzogiorno si è progressivamente acuito.
Fig. 2. Tasso di occupazione del Mezzogiorno in percentuale di quello medio italiano 1995-2017
La trasformazione più rilevante verificatasi nell’ultimo ventennio nel mercato nel lavoro italiano è la diffusione del lavoro a termine. Tra il 1997 e il 2017, i lavoratori dipendenti con un contratto a termine sono passati dall’11 al 16 per cento del totale: tre milioni, a fronte dei 15 a tempo indeterminato. Il numero dei precari si amplia molto quando si considerano le diverse forme di lavoro a termine. Nel 2016, i rapporti di lavoro di breve durata (fino a 3 mesi), che includono contratti a tempo determinato, di somministrazione professionisti assicurati alla ‘gestione separata’, lavori intermittenti, collaborazioni e voucher hanno coinvolto circa 4 milioni di lavoratori. A questi andrebbero aggiunti i lavoratori a basso salario che svolgono funzioni esternalizzate da Enti pubblici e imprese private.
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