Yulia era arrivata poche ore prima dalla Russia. Il solito bagaglio e un pacco regalo per papà. Chissà se Sergei Skripal ha fatto in tempo ad aprire quel profumo oppure se lo scorso 4 marzo era ancora incartato, quando si è accasciato insieme a sua figlia su una panchina di fronte alla paninoteca Gregg a pochi passi dal fiume Avon. Entrambi sono stati ritrovati privi di sensi alle 16.15, avvelenati da un gas nervino raro, il Novichok, mentre qualcuno probabilmente osservava da lontano i due che, tramortiti, sembrava riposassero in quell’angolo di verde.
Una barba finta, forse. Una spia come Sergei, sospettano gli inquirenti britannici che per risolvere questo tentato omicidio stanno impiegando i migliori agenti di Scotland Yard, dell’antiterrorismo e quasi 200 militari della Royal Marine. Al momento, le tracce ripercorse a ritroso portano su Market Walk, all’interno della galleria d’arte, poi su Castle Street fino al ristorante italiano Zizzi di fronte al calzolaio Timpson e a Henri’s The Barber, e giù di nuovo verso Fisherton Street dove Sergei e Yulia avevano bevuto una pinta al The Mill, un tipico pub inglese di Salisbury, piccola città inglese della contea di Wiltshire.
L’anonima city a sud ovest di Londra è da tre settimane il set dell’ultima spy story che da oggi coinvolge Gran Bretagna, Russia, l’Europa e gli Stati Uniti. Il più grande affaire di spie dai tempi dell’avvelenamento con il polonio radioattivo dell’ex agente del Kgb Aleksandr Litvinenko. Il colonnello Sergei Skripal, 66 anni, era una doppia barba finta e forse sta rischiando di pagare con la propria vita (e quella di sua figlia) l’infedeltà nei confronti del Gru, il servizio segreto militare di Mosca. Tradì per soldi, che gentilmente il Mi6 britannico gli portava in contanti in Spagna in cambio di informazioni su 300 suoi colleghi russi.
Aveva iniziato mentre l’Unione Sovietica si dissolveva e il doppio gioco era continuato per anni. Fino a quando, nel 2004, era stato scoperto e processato. Condannato per alto tradimento, Sergei ha scontato solo una parte della pena. Nel 2010 il suo nome è nella lista degli agenti che Mosca scambia per far rientrare in patria dieci spie scoperte dagli Stati Uniti. Sergei se ne va e sa a quali porte bussare. Si trasferisce a Salisbury e abita in una casa usata in passato dai servizi segreti inglesi per gli interrogatori. C’è chi dice che fosse in qualche modo rientrato nel giro. Di certo, a pochi chilometri da casa sua vive l’uomo che lo agganciò in Spagna, Pablo Miller, che nel frattempo è entrato in contatto e fa affari con un veterano del Mi6, Christopher Steele, l’uomo del torbido dossier su Donald Trump e le prostitute russe.
Quale sia il filo da seguire in questa storia che pare sceneggiata da John le Carré ed è diventato un caso di diplomatico da Guerra Fredda è presto per dirlo. Scotland Yard ha rintracciato duecento testimoni e continua a dare la caccia ad altre persone che hanno inconsapevolmente incrociato la strada di Sergei e Yulia, ancora ricoverati in condizioni critiche. La polizia britannica ha ricostruito ogni minuto nella giornata degli Skripal e ha avvisato chi ha frequentato il pub The Mill e il ristorante Zizzi: corrono un rischio di contaminazione anche loro, seppur basso, perché in entrambi i locali sono state ritrovate tracce della neurotossina usata per tentare di ammazzare lo 007.
Gli occhi sono puntati anche sull’abitazione dell’ex spia e sul cimitero della città, visitato dai due per andare a pregare sulla tomba della moglie di Sergei e di suo figlio, deceduto per “cirrosi epatica” a San Pietroburgo. Le cause ufficiali della loro morte sono sotto la lente d’ingrandimento per restringere o allargare il campo dell’indagine. Un affaire che ha spinto gli investigatori a scartabellare anche tra i faldoni di 14 morti sospette: apparenti suicidi, elicotteri precipitati al suolo, avvelenamenti a teatro e persone impalate nel cancello di casa. Tutto in Gran Bretagna, tra il 2006 e il 2016. Più la morte dell’esule Nikolai Glushkov, amico di Boris Berezovski, ritrovato morto per impiccagione lo scorso 13 marzo nella sua casa.
Il governo sta monitorando da vicino la vicenda con la ministra dell’Interno, Amber Rudd, decisa a seguire in prima persona gli sviluppi di un’indagine che ogni giorno si fa più delicata sul versante diplomatico. Ha garantito il massimo impegno per far luce in fretta e senza risparmio di mezzi su “un crimine oltraggioso” consumato sul suolo britannico. Gran Bretagna, Ue e Stati Uniti non hanno dubbi sul mandante: “È stata la Russia. E ha usato un agente nervino sul suolo straniero per al prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale”. Fra le piste investigative, i media avanzano il sospetto che l’ex spia possa aver “violato i patti” che nel 2010 gli avevano garantito la grazia in patria, collaborando “da freelance” con agenzie private di ex 007 britannici.
Si spiegherebbe così la sua presenza proprio a Salisbury, in una zona vissuta dall’amico Miller e “battuta” dal suo ex collega Steele. Anche se la società Orbis, fondata proprio da Steele, nega qualsiasi contatto. Mosca bolla come “propaganda isterica” la girandola dei sospetti e dopo aver espulso 23 diplomatici britannici in risposta alla decisione di Theresa May, si prepara alla rappresaglia contro Unione Europea e Stati Uniti. Di certo non aiuta una frase di Vladimir Putin del 2010: “Questa gente ha tradito i propri amici, i propri commilitoni. Con quei 30 denari di guadagno ci si strozzeranno“, disse il presidente russo quando avvenne lo scambio di Skripal e degli altri due spioni scoperti. Sergei stava lasciando la colonia penale nella quale aveva vissuto gli ultimi tre anni e pensava di essersi lasciato alle spalle tutto. Invece il suo passato lo ha raggiunto a Salisbury e ora è ricoverato in terapia intensiva. Forse, a casa, ha ancora un regalo di sua figlia da scartare. Oppure, è il sospetto crescente, il gas nervino era nascosto proprio lì.