Da qualche giorno molti giornali denunciano – e forse auspicano – un’intesa tra Movimento 5 Stelle e Lega: avrebbero i numeri per formare una maggioranza e un governo. Eppure i due leader, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, non sembrano averne alcuna voglia. La “Terza repubblica”, come l’ha chiamata Di Maio, è stata inaugurata da un bipolarismo populista.
Fino alla scorsa settimana i poli erano tre: centrodestra, centrosinistra e anti-sistema. Poi è cambiato tutto. La Lega ha egemonizzato il centrodestra, scalzando la leadership di Forza Italia, e la fuga di elettori dal Pd verso i Cinque Stelle ha spostato il Movimento a nuovo centrosinistra, con i democratici a comprimari (anche se ancora non l’hanno ben capito). Siamo tornati in un sistema bipolare, dopo una legislatura a tre, quella 2013-2018.
L’analisi più immediata è che quindi l’interesse primario di Salvini non è governare ora, ma consolidare la propria presa sulla destra, magari nella prospettiva di costruire un partito unico. Per i Cinquestelle, invece, l’esigenza è di formare subito un esecutivo: hanno puntato tutto su questa prospettiva, non si sono preparati a restare all’opposizione e pure il Quirinale sembra pensare che sarebbe pericoloso escludere dal potere il partito di maggioranza relativa. Di Maio, in parte per meriti propri in parte per demeriti di Matteo Renzi e dei suoi, si sta quindi trovando con una opportunità immediata, costruire una maggioranza per governare, e una di medio periodo insperata: cioè diventare il perno di un nuovo centrosinistra populista.
Lo scenario dell’asse M5S-Lega è molto improbabile, quindi. Ma non impossibile. In questo nuovo bipolarismo, si tratterebbe di una grande coalizione tra le due forze principali, un po’ come Spd e Cdu in Germania o come Pd e Forza Italia nel 2011, non certo della costituzione di un polo omogeneo anti-sistema contro cui rinfrescare vecchie identità per contrasto, come spera un pezzo del Pd e i giornali che da questo sono insufflati.
Quello che molti del Pd, ma anche tanti commentatori, non hanno capito è che Lega e M5S sono due partiti populisti ma complementari, non analoghi.
Sono populisti perché del populismo hanno tutte le caratteristiche. Il populismo è stato classificato come una “ideologia sottile”, priva di testi di riferimento, di caratteristiche univoche, di una visione del mondo chiara e coerente. Ma è sicuramente una “mentalità”, come spiega il bellissimo saggio di Marco Tarchi appena ripubblicato dal Mulino, Italia populista. E’ una mentalità che si basa più “su stimoli emotivi che su considerazioni razionali”, che si richiama a “valori intesi in modo generico e spesso vago”, che si ancora al passato mentre tiene “lo sguardo ben fisso sul presente”. Inoltre entrambe le formazioni condividono un approccio anti-establishment, negano l’esistenza di interessi contrapposti nella società (di classe, di età, di genere, di area geografica) e predicano l’esistenza di un’agenda unica di misure che servono al popolo ma vengono osteggiate dalle élite.
Sono populisti entrambi, ma vogliono rappresentare due popoli diversi, come si capisce leggendo Popolocrazia di Ilvo Diamanti e Marc Lazar, appena uscito per Laterza. Secondo la distinzione classica di Yves Mény e Yves Surel, ci sono tre tipi di popolo: il popolo sovrano, il popolo classe, il popolo nazione. La Lega vuole rappresentare il popolo sovrano, cioè l’unico legittimo titolare del potere che non lo delega mai davvero, e il popolo nazione, una comunità coesa con valori e tradizioni comuni (il giuramento di Salvini sul Vangelo in campagna elettorale), ma anche il popolo inteso come “plebe” o “popolino”, le persone comuni che devono essere protette da élite predatrici.
Il popolo dei Cinquestelle, per usare le etichette di Diamanti e Lazar, è invece il “populus” inteso come un insieme di “cittadini attivi, caratterizzato da una politicizzazione intensa e permanente, che non passa unicamente attraverso il ricorso al referendum, ma attraverso un attivismo continuo, reale e virtuale per il movimento”.
Il punto di arrivo del populismo dei Cinquestelle è la fine della delega, con il cittadino che decide direttamente, magari attraverso Rousseau, la piattaforma per la democrazia diretta. E’ un “populismo dei cittadini”, idealizzati come veri protagonisti della democrazia invece che meri elettori occasionali. E infatti Di Maio ha presentato la sua Terza Repubblica come “la Repubblica dei cittadini” dopo quella dei partiti, la prima, e quella dei leader carismatici, la seconda.
La Lega invece promette un’altra traiettoria, quello di rappresentanti forti e grintosi, anche disposti a usare metodi spicci pur di difendere il proprio popolo dalle grinfie delle tecnocrazie internazionali. I Cinque Stelle sognano un popolo senza leader, la Lega l’uomo forte al comando che fa da scudo e rassicura (sorvoliamo qui sulla “legge ferrea” che condanna qualunque partito a trasformarsi in oligarchia, come ci avvertiva già nel 1911 Robert Michels).
Sono due populismi – e due accezioni – di popolo complementari e, per molti aspetti, escludenti. Per questo non è affatto naturale che Lega e Cinquestelle convergano in un’alleanza. Mentre è quasi inevitabile che i rimasugli dei partiti tradizionali scelgano su quale fronte schierarsi di questo bipolarismo populista. Anche se non più da protagonisti ma da junior partner di una coalizione.
E’ appena uscito il nuovo libro di Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano: “Populismo sovrano” per la collana Le Vele di Einaudi