Per la prima volta dall’inizio della stagione, il Napoli non è più padrone del suo destino: il pareggio per 0-0 contro l’Inter ha significato il sorpasso della Juventus. Che quest’anno non era mai stata davanti agli uomini di Sarri. Il campionato non è ancora finito, per carità: i bianconeri hanno almeno tre partite difficili in cui possono perdere punti (Inter e Roma fuori casa, Milan a domicilio), più lo scontro diretto che molto probabilmente sarà determinante. Però questa può essere davvero la spallata decisiva allo scudetto. Perché il Napoli dovrà fare percorso netto e sperare in un passo falso di una squadra che negli ultimi sei anni non ha sbagliato praticamente nulla. Altrimenti passerà alla storia come la bella incompiuta del nostro calcio.

La doppia frenata degli azzurri, in fondo, è anche comprensibile. Un po’ di sfortuna, un pizzico di stanchezza fisiologica, due avversarie toste. Forse è stato addirittura peggio il pareggio contro l’Inter della sconfitta con la Roma, perché a San Siro il Napoli è apparso davvero spento, nella testa oltre che nel corpo, e se avesse incontrato una squadra meno in crisi dei nerazzurri magari avrebbe pure perso. A ben vedere, però, lo scivolone è frutto sempre degli stessi errori, i piccoli limiti della macchina (quasi) perfetta che ha costruito Sarri: una squadra che gioca sempre uguale a se stessa, con lo stesso modulo e gli stessi uomini, ormai persino gli stessi cambi, e se non va a duemila all’ora diventa prevedibile. Siamo alle solite, insomma. Quest’anno è successo molto meno spesso che in passato, ma è successo comunque. Almeno due volte. I due passaggi a vuoto, uno per girone, praticamente speculari tra loro: una sconfitta inattesa (ora la Roma, all’andata la Juventus) seguita da una prestazione sottotono a reti bianche (fu 0-0 anche contro la Fiorentina). Un cedimento soprattutto di testa, di chi non regge il braccio di ferro estenuante contro un avversario complessivamente più forte.

Questo è anche il grande alibi del Napoli, per cui diventa difficile muovergli un appunto. La Juventus è fortissima, quasi imbattibile. Le vince praticamente tutte, ha trasformato la Serie A in una sorta di Bundesliga in tono minore (lo stesso tipo di dominio del Bayern Monaco) e contro una squadra così basta anche un normalissimo pareggio fuori casa per perdere terreno in classifica. Eppure questo Napoli prima o poi dovrà farlo il salto di qualità definitivo, e questa avrebbe dovuto essere la stagione giusta. Ma senza scudetto, senza grandi imprese europee, senza neppure una piccola vittoria consolatoria in Coppa Italia, cosa resterà di tutta questa bellezza?

Il tema l’ha posto proprio Sarri, con quel pizzico di presunzione che è affiorato proprio quando cominciavano a vedersi le prime crepe. “Segneremo un’epoca come l’Olanda degli Anni Settanta”, ha detto dopo l’eliminazione dall’Europa League. Ma certi paragoni bisogna conquistarseli sul campo. Quella era la squadra di Johann Cruijff, che arrivò seconda ai Mondiali (non in Serie A) e comunque a livello di club conquistò quattro Coppe dei Campioni consecutive. Questo Napoli è magnifico, ma non ha cambiato la storia del pallone (il calcio totale si inventa una sola volta), nemmeno di quello italiano; al massimo ha portato una ventata di freschezza in un momento stantio. E soprattutto ancora non ha vinto nulla. Si potrebbe accostare al massimo al Foggia di Zeman, ma ci sono troppe differenze tattiche e per certi versi quella squadra fu molto più iconica, destinata davvero a rimanere nella memoria collettiva a prescindere dai titoli. Il Napoli di Sarri, invece, chissà. Più che l’Olanda di Crujiff, ad oggi e senza rimonte di qui alla fine sembra solo una riedizione più spettacolare della prima Roma di Spalletti, altra formazione che giocava bene, ha innovato tanto (Totti centravanti, il “falso nueve” è nato lì praticamente) ma ha sempre incontrato sulla sua strada qualcuno più forte di lei. Solo un bel ricordo, insomma, non proprio indelebile.

Twitter: @lVendemiale

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