I conti per una possibile maggioranza si fanno anche, forse soprattutto, al Quirinale. E se quindi il presidente della Repubblica chiedesse un ulteriore sforzo al Partito Democratico? Se il Colle chiedesse ai democratici di fare un governo? “Si valuterà”, risponde il ministro Graziano Delrio, da sempre braccio destro di Matteo Renzi, nome forte per la segreteria di passaggio dall’assemblea di aprile alle primarie (ma lui smentisce ancora: “Ci sono persone più capaci di me”). Delrio dice che “il presidente ha sempre la nostra attenzione e la nostra collaborazione. Noi siamo disponibili ad ascoltare, diversamente da quello che hanno fatto Lega e M5s nel corso dell’ultima legislatura. Non auspichiamo un governo M5s-Lega perché hanno fatto promesse che non sono realizzabili”. Al primo sguardo appare come una prima, timidissima, flebile dichiarazione di “scongelamento“. Delrio, poco dopo, dice di essere stato “travisato”. “Il senso delle mie parole è uno solo ed è quello affermato ieri dalla direzione nazionale nel documento condiviso, cioè che il Pd “garantisce il pieno rispetto delle scelte espresse dai cittadini e al presidente della Repubblica il proprio apporto nell’interesse generale” e “si impegnerà dall’opposizione, come forza di minoranza parlamentare, riconoscendo che ora spetta alle forze che hanno ricevuto maggior consenso l’onore e l’onere di governare il Paese”. In sostanza il concetto è che tocca – soprattutto ora, nelle prime battute – al centrodestra e al M5s.
“Tocca” nel senso che la prima mossa, ora, spetta ai partiti vincitori: sono loro che dovranno chiedere collaborazione, sulla base di proposte concrete. Su questo piano il segretario della Lega e capo del centrodestra Matteo Salvini sembra attivo e anche se non dice cosa vuole, almeno dice cosa non vuole. Con il M5s, spiega, “i programmi sono molto diversi, ha vinto la coalizione di centrodestra, non è autosufficiente alla Camera e al Senato, ma sicuramente non posso allearmi con chi ha male governato negli ultimi anni, quindi ipotesi di governi che prevedano Renzi e Boschi o Gentiloni sono inimmaginabili“. Cioè: “Non ho le smanie di andare al governo con chiunque, se per andare al governo devo portare chi è stato bocciato al voto, allora no”.
Servirà molto tempo, insomma, e si avrà a che fare con molta lentezza, come fa intendere, sempre nel Pd, Andrea Orlando, secondo il quale “non c’è la percorribilità di un governo politico con i Cinquestelle” perché “dobbiamo nettamente distinguere i nostri profili, il Movimento si è candidato alle urne con un programma incompatibile con il nostro”. Per Orlando “bisogna evitare di dire: ‘Abbiamo perso, arrangiatevi‘, non tocca a noi fare un governo né con la Lega né con M5s ma dobbiamo concorrere alla definizione degli assetti istituzionali, dobbiamo partecipare per la definizione di presidenti dei Camere e Senato”. Secondo il ministro “dobbiamo smettere con una sorta di spocchia contro chi ha votato i Cinquestelle: abbiamo fatto un favore a Di Maio scherzando sul suo curriculum o sui suoi congiuntivi”.
Dichiarazioni che si legano alla linea che vorrebbe tenere Matteo Renzi, almeno secondo un retroscena del Messaggero: l’ex segretario non smette di dire ai suoi e di mandare a dire (soprattutto ai Cinquestelle) che se il Pd è l’ago della bilancia per la sorte di qualsiasi governo, dentro il Pd l’ago della bilancia sono i parlamentari a lui vicini, perché i “dissidenti” (come già vengono chiamati quelli delle correnti di sostegno, come gli uomini di Franceschini e Martina). Quindi in una fase di stallo, dopo due o tre mesi di impasse, la figura del leader uscente che ora si è fatta più sfumata, potrebbe farsi improvvisamente più nitida: per un governo di scopo o per un governo del presidente, per esempio.
Ma “se venisse Di Maio, gli parlerei di certo, ma penso che si debba prendere atto che non c’è la percorribilità di un governo politico, abbiamo due idee di Paese diverse. Ora definiamo gli assetti istituzionali, anche i presidenti di Camera e Senato possono svolgere un ruolo nella formazione del governo, il Pd dovrebbe essere parte delle maggioranze che arrivano a eleggere i presidenti”. E su questo punto Salvini smentisce i retroscena sui contatti per le presidenze delle Camere, ma annuncia che “siccome i contatti li terrò io con tutti, ascolterò, come è mio dovere, Di Maio, Renzi, Grasso e stasera stessa incontrerò prima gli alleati, Berlusconi e la Meloni“.