A settembre del 2016, tutti noi firmatari indirizzammo una lettera aperta ai giudici della Corte d’Appello del Tribunale di Napoli, che stava per emettere una sentenza sul licenziamento di cinque operai della Fiat di Pomigliano – rei, secondo l’azienda, di aver messo in scena l’impiccagione di un fantoccio raffigurante l’allora amministratore delegato Sergio Marchionne davanti ai cancelli del centro logistico di Nola.
Solo tre giorni prima di quella disperata protesta, si era suicidata l’operaia cassintegrata della Fiat di Nola Maria Baratto, squarciandosi il ventre con un coltello. Tre mesi prima, Giuseppe De Crescenzo, operaio della Fiat di Nola in cassa integrazione da cinque anni, si era impiccato nella sua abitazione.
I giudici della Corte d’Appello ascoltarono la verità e il dolore racchiusi in quella protesta e rovesciarono la precedente sentenza del giudice del lavoro di Nola, che aveva sposato le ragioni dell’azienda – la quale accusava i cinque lavoratori cassintegrati di aver agito “un’intollerabile incitamento alla violenza” e “una palese violazione dei più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro”, provocando “gravissimo nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario”.
La Corte d’Appello stabilì dunque che quella protesta, per quanto aspra, non poteva costare loro il lavoro, e ordinò alla Fiat di reintegrare i cinque lavoratori. I giudici hanno detto, con la loro sentenza, una cosa essenziale: che un operaio è un cittadino, e non deve temere di essere licenziato se esercita il suo sacrosanto diritto ad avere un’opinione contraria. La Fiat non ha permesso ai cinque operai reintegrati per legge di varcare i suoi cancelli. Ha versato loro un regolare salario ma, nonostante la ripetuta richiesta dei cinque di essere riammessi al lavoro, li ha lasciati fuori dalla fabbrica, come dei paria, degli intoccabili.
Oggi siamo nuovamente a chiedere ai giudici, questa volta della Cassazione, di guardare alla verità che si è espressa con loro protesta: i suicidi dei cassintegrati, per quel che comporta la perdita del lavoro e della dignità ad esso connessa, sancita dai Padri costituenti.
Ci affidiamo al Loro giudizio, perché ricordino a tutti che se un operaio viene ridotto a temere di esprimere la propria critica nei confronti del datore di lavoro, tutti noi saremo più servi.
Vittorio Agnoletto, medico, già parlamentare europeo
Mario Agostinelli, politico, già segretario generale della CGIL Lombardia
Giuseppe Aragno, storico
Alessandro Arienzo, filosofo
Alessandra Ballerini, avvocato
Franco Calamida, politico, già deputato del Parlamento italiano
Lorenza Carlassare, giurista e costituzionalista
Ascanio Celestini, attore e regista
Luigi De Giacomo
Erri De Luca, scrittore
Luigi De Magistris, sindaco di Napoli
Giuseppe De Marzo, attivista e scrittore
Giuseppe Antonio Di Marco, filosofo
Francesca Fornario, giornalista
Emilio Molinari, politico, già parlamentare europeo
Maria Pace Ottieri, scrittrice
Moni Ovadia, attore
Daniela Padoan, scrittrice
Valeria Parrella, scrittrice
Annamaria Rivera, antropologa
Marco Travaglio, giornalista
Guido Viale, economista
Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano