Secondo il racconto dell'ong il giovane, che si è spento all'ospedale, si chiamava Segen ed era rimasto imprigionato in Libia per 19 mesi. Il primo cittadino del porto dell'accoglienza: "Arrivano persone malnutrite, morte di fame e di sete o per stenti fisici. Ci vuole una strategia europea, un Paese civile non può tirarsi indietro"
Un migrante di 22 anni è morto per malnutrizione e problemi respiratori subito dopo essere sbarcato a Pozzallo dalla nave dell’ong spagnola Proactiva Open Arms. Il giovane, eritreo, era in un gruppo di 91 persone recuperate domenica. Appena sceso dalla nave è stato trasferito in ospedale a Modica; dopo qualche ora le sue condizioni sono peggiorate e il giovane è morto per fame e per la malnutrizione che da mesi ha contribuito a peggiorare il suo già precario quadro clinico. Secondo il racconto del fondatore di ProActiva, Oscar Camps il giovane si chiamava Segen ed era stato imprigionato in Libia per 19 mesi”. “Lo abbiamo salvato domenica – ha aggiunto Camps su twitter – Lo abbiamo trasferito in ospedale subito dopo l’arrivo in porto in Sicilia. Oggi è morto per una grave malnutrizione“. Malnutrito da mesi e affetto da tubercolosi, era riuscito a sopravvivere al deserto e poi alla traversata in mare. Le condizioni del ragazzo sono subito apparse disperate: accusava problemi respiratori e non si reggeva in piedi. Aveva la magrezza di un anoressico, ma la letteratura medica precisa che la sindrome di cui soffriva il giovane africano non ha nulla a che vedere con la patologia del disagio alimentare: il 22enne è morto per fame, anche se il linguaggio medico copre la locuzione con il velo del lessico scientifico che parla di “cachessia”, come è scritto sulla cartella clinica. I sanitari le hanno provate tutte, ma per il giovane non c’è stato nulla da fare. Ora il suo corpo si trova nella camera mortuaria dell’ospedale, in attesa che la procura decida se disporre l’autopsia.
Un episodio al quale si aggiungono le dichiarazioni di Roberto Ammatuna, il sindaco di Pozzallo: “Quello che mi impressiona è che sembra di tornare a 70 anni fa, quando abbiamo visto quelle drammatiche scene di un campo di concentramento e quegli esseri umani, gli ebrei, ridotti pelle e ossa” racconta a Effetto Giorno, su Radio24. Ammatuna è anche primario del pronto soccorso dell’ospedale Maggiore di Modica, dov’era stato ricoverato il 22enne eritreo. “E questa è la sensazione che io ho avuto per l’ultimo sbarco con persone malnutrite, morte di fame e di sete, alcune di loro sono decedute per stenti fisici. La situazione peggiora e ci vuole una strategia europea. Noi, come città, vogliamo continuare con l’accoglienza perché in un Paese civile non ci si può tirarsi indietro. Speriamo in un maggiore coinvolgimento dell’Europa e voglio ribadire che abbiamo accanto a noi il ministero dell’Interno e il governo italiano“.
Soltanto tre giorni fa tre fratelli erano stati soccorsi nel Canale di Sicilia dalla stessa nave della ong spagnola: fuggivano dalla Libia per arrivare in Italia e trovare un ospedale che potesse curare uno dei tre ragazzi, il quattordicenne Allah, malato di leucemia. Viaggiavano su un piccolo gommone con una scorta di 200 litri di benzina. Anche il ragazzo eritreo, probabilmente, avrà pensato che una volta in Italia avrebbe potuto ricevere le cure di cui necessitava, ma è arrivato troppo tardi.