“Il premier Luigi Di Maio sarebbe disponibile per il nostro forum del 23 e 24 marzo a Cernobbio?”. Ora 14.20, sede della Confcommercio di Milano. Il capo politico M5s è in riunione con il presidente Carlo Sangalli prima dell’incontro pubblico, fuori dalla porta una funzionaria si avvicina al capannello dei neoparlamentari 5 stelle Stefano Buffagni e Gianluigi Paragone. Risate. E’ un lapsus: Di Maio non è premier e quel weekend c’è l’insediamento in Parlamento. Insomma non si può fare, ma mai come ora conta l’invito. Se organizzare l’incontro in Confcommercio poco dopo il voto voleva essere un messaggio comunicativo, di sicuro nei corridoi è riuscito. Mentre a Roma iniziano le grandi trattative per l’elezione dei presidenti delle Camere, il leader 5 stelle torna al nord e lo fa presentandosi come presidente del Consiglio. O almeno come il volto delle istituzioni e, dice, “l’unico che continua a parlare con i cittadini”. “Buonasera”, è l’esordio dal pulpito della sala al secondo piano davanti ai rappresentanti dei commercianti. Parla a braccio e usa tutte le frasi chiave del momento: “Amministreremo con grande responsabilità questa fase”. “Trattiamo per le Camere, il governo è un discorso diverso”. Poi quella battuta che è molto meno uno scherzo di quello che si pensa: “Sono sicuro che ci metteremo meno tempo della Germania a trovare un accordo”. Gli applausi sono sui punti chiave che stanno a cuore alla Confcommercio: “No all’aumento dell’Iva”, “dissinescare le clausole di salvaguardia” e “imposizione fiscale uniforme” (vedi Aribnb e simili ndr).
A volerla dire tutta, la presentazione di Di Maio in Confcommercio era fissata prima delle elezioni, nell’ambito di una serie di incontri con i vari candidati presidenti del Consiglio. Annullata per sopraggiunti impegni, è stata recuperata in tutta fretta dopo il voto. Inusuale? Fa comodo ai 5 stelle, fa comodo ai commercianti. La sede di Milano è stata scelta però per volontà dei grillini che ora hanno una preoccupazione più di tutti gli altri: dare il messaggio al Capo dello Stato che il M5s rappresenta tutta l’Italia e non solo il sud. Mostrarsi credibili e convincenti non è neppure più il primo problema. Al massimo riuscire a mantenere le promesse. Il discorso dura venti minuti. Di Maio esce dalla porta principale e si concede solo qualche fotografia. La platea di chi storicamente ha oscillato da Democrazia cristiana a centrodestra ha ascoltato ostentando prudenza, ma sicuramente senza ostilità. “Questa è la classe di governo”, vociferano i gruppetti all’uscita. “Dobbiamo parlare con loro”. A microfoni spenti assicurano di non averlo votato, ma non per questo ora non sarebbero pronti a sostenerlo. L’importante, spiegano, è che non si pensi che la “Confcommercio è grillina”. Sono apolitici, ma interlocutori di chi è al governo. E che Di Maio ancora non ci sia è praticamente, per loro, un dettaglio. “E’ sbagliato dire che questo sia un endorsement. Noi ascoltiamo”, commenta Carlo Massoletti presidente Confcommercio Brescia. “Non spetta a noi dire cosa deve succedere ora. Anche se mi sembra logico che chi ha preso più voti sia chiamato a dare risposte”. Paolo Arena è il referente di Verona e dice che spera “nel gioco di squadra”: “Se si torna al voto con le stesse regole cambia poco. A noi non spetta fare valutazioni politiche, solo mi sento di dire: Di Maio perché no?”. Se non è amore, è amicizia. E dura da un bel po’ di tempo. “L’organizzazione? Chiedete a Buffagni”, rispondono nei corridoi i funzionari. “Noi qui con loro parliamo da anni”. L’ex consigliere regionale e ora deputato, insieme al gruppo 5 stelle in Regione Lombardia, lavora da tempo sul punto: dialogare con il nord produttivo, mostrare il volto affidabile e trovare il modo di convincere gli imprenditori a votare 5 stelle e non più Lega Nord e Centrodestra. Che sia chiaro: la conquista del settentrione è ancora lontana, ma è stata sfondata la barriera del 20 per cento (in molti casi sono addirittura primo partito) e ora quei voti possono fare la differenza, o così almeno sperano, quando si presenteranno di fronte a Mattarella.
L’uscita di Di Maio, il giorno dopo la conferenza stampa a Roma con i giornali stranieri, dura il meno possibile. Davvero come fosse premier arriva, parla e se ne va. Intorno alle 15.30 si allontana scortato dai suoi fedelissimi al nord: Pietro Dettori, già braccio destro di Casaleggio e ora pure membro di Rousseau, poi i parlamentari Buffagni e Paragone, ma anche il regionale Dario Violi. Si dirigono a piedi verso la sede della Casaleggio associati dove si chiuderanno per alcune ore. Da decidere c’è tanto, ma anche da stare nascosti in attesa che gli altri facciano le prime mosse. Oggi Di Maio ha fatto esporre i capigruppo Grillo e Toninelli, che sul blog hanno annunciato inizieranno le “interlocuzioni” per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Un segnale molto importante: le trattative ora le gestiscono loro, mentre Di Maio si esporrà in prima persona solo quando sarà la volta di parlare di governo. C’è la sindrome Bersani a incombere: se si brucia, poi il M5s un sostituto non ce l’ha e non potrà appellarsi al Letta della situazione (come fu per il Pd nel 2013).
Mentre il leader cura le uscite pubbliche nei dettagli, continuano i movimenti sotterranei. E il dato è uno: tutti cercano i 5 stelle. Chiamano da Pd, Forza Italia e Lega Nord. Ufficialmente per le Camere (il M5s punta tutto sulla presidenza di Montecitorio), ufficiosamente per cominciare a sondare il terreno. Quindi, in casa 5 stelle, credono poco agli strepiti dei renziani che dall’inizio dicono di non voler stare solo all’opposizione, ma sanno anche che i numeri (loro+Pd ed eventualmente Liberi e uguali) non bastano. Servirà l’appoggio anche di qualcun altro e le vie sono tutte aperte (fino ad ipotizzare un sostegno esterno di qualcuno che lasci il centrodestra). “E’ una partita a scacchi”, non fanno che ripetere dai vertici M5s. “Una cosa è sicura”, spiega una fonte che chiede di rimanere anonima, “nessuno, specie in casa Pd e Forza Italia, vuole tornare al voto. Hanno paura che non saranno più eletti. E questo significa che almeno per due anni un governo riusciamo a farlo”. C’è la strada dell’esecutivo di scopo per fare la legge elettorale, rievocata da alcuni. “Ma con queste maggioranze è difficile trovare un accordo. Anche perché con tutti gli altri sistemi saremmo sempre da capo con le percentuali. Più facile che si trovi un accordo operativo”. Tutte ipotesi premature e che cambiano a seconda dei movimenti degli altri. “Ci vorrà molto tempo”, chiude la fonte. I tempi del Quirinale sono chiari e prima di metà aprile potrebbe non esserci una soluzione. I rappresentanti dei commercianti una cosa chiara gliel’hanno detta. Ad esempio il presidente di Confcommercio Brescia Massoletti, uno degli ultimi a lasciare la sede, ha salutato i colleghi con un solo augurio: “L’importante è che non restiamo nel guado”.