“Ale, io sto bene. A parte questo ciuffo matto nella testa, tutto è a posto”. L’ultima volta che la vede felice è in sogno. Sono le 5 in punto dell’11 dicembre 2016. Alle 23.54 sarebbe morta. Lei è Francesca Del Rosso, in arte Wondy, la Wonder woman che al tumore e alle sue recidive ha contrapposto l’arte della resilienza. “Senza pietismi, senza piangersi addosso, al contrario con ironia, crudezza, leggerezza”. Fino all’ultimo. A raccontarla è Alessandro Milan, suo marito, che in Mi vivi dentro (DeA Planeta) riavvolge il nastro della loro storia. È una storia di famiglia, fatta di amore e risate, di crepe nella quotidianità perché a lei pulire casa e fare da mangiare proprio non va giù. Insomma, meglio uscire, divertirsi e festeggiare. Anche – soprattutto – quando la vita ti sbatte in faccia una clessidra. Una filosofia di vita che è diventata anche un’associazione, Wondy sono io, dove in mille modi si racconta che è possibile resistere agli urti senza spezzarsi.
Le fedi tintinnano fra loro nei momenti di difficoltà, perché è così “che si sbaciucchiano”
Iniziano da colleghi di lavoro a Radio 24 nel 2001: “Era piccolina – scrive Alessandro -, per non dire bassina, ma caruccia forte. Occhi giganti di un blu mai visto, sempre sorridente, costantemente spettinata”. Poi l’uscita al cinema a vedere Le fate ignoranti (“Sei stato il quarto o quinto ragazzo che ho chiamato. Solo che gli altri non potevano e io non volevo andarci da sola”). Seguono diversi mojito, il matrimonio, due figli, Angelica (perché “dai, Ginevra Milan sembra un treno”) e Mattia, e in mezzo amici e viaggi. La scelta di Francesca di lasciare il posto a Radio 24 perché vuole diventare scrittrice e buttarsi in altri progetti. In tutto questo arrivano anche il tumore, le operazioni, la radioterapia, due mastectomie, altrettanti cicli di chemio. Le iniezioni intratecali, il farmaco sperimentale sorteggiato dall’ospedale come in una lotteria. E alla fine le metastasi e la morfina, perché il tumore nei suoi sei anni di occupazione è arrivato anche al cervello. Affrontano tutto insieme, tra alti e bassi, come tutti. Con le fedi che tintinnano fra loro nei momenti di difficoltà, perché è così “che si sbaciucchiano”. Sapendo anche che dopo un tumore la possibilità di separarsi aumenta perché il ritorno alla quotidianità è traumatico per la coppia. Francesca ha paura. La vive, la butta fuori, usa il suo tempo per godersi quello che le rimane. E sa che lei non sarà mai la sua malattia. Un approccio alla vita diverso da quello di Alessandro che, soprattutto nelle situazioni di sofferenza, tende a isolarsi. A volte si sente talmente inutile da non provare empatia per lei.
Angelica e Mattia assistono al progredire della malattia della mamma. La perdita dei capelli, la spossatezza dopo le cure, i momenti di rabbia. Sentono il suo dolore, temono che non ce la faccia. Ma la verità non viene mai nascosta a loro perché “essere onesti è il primo ingrediente per tenere unita una famiglia”. Quando sanno che Francesca se n’è andata esplodono in un pianto “lancinante” ed è la prima volta che Alessandro vede “uscire lacrime di dolore dagli occhi dei nostri figli”. Dopo il funerale Angelica prova anche a chiamare la mamma sul cellulare dal fisso di casa. Squilla, ma lei non c’è più. E poi i piccoli pensano: senza la mamma addio viaggi. Così Alessandro, due settimane dopo la sua scomparsa, decide di portare i bimbi alle Maldive, la vacanza dei sogni di Francesca. “Partenza il giorno di Natale, con passaggio vicino al Paradiso“.
Avevo capito che ero io quello debole, quello col tumore dentro. E lei quella forte, centrata, realizzata, quella felice
Quel Paradiso che Wondy, alla fine, si domanda con gli indici rivolti al cielo perché fosse così difficile da raggiungere, dopo tutte le visite, le menomazioni, il dolore, la “femminilità deturpata”. Ma nonostante questo, prevalgono sempre un sorriso e due occhi spalancati sul mondo. Lei che quando va ospite alle Invasioni Barbariche per presentare il suo libro alla domanda “come stai?” risponde “bene, dai”, anche se tre giorni dopo sarà sotto i ferri. Alessandro la guarda dal divano di casa e piange come una fontana, perché lì, dice “avevo capito inequivocabilmente che ero io quello debole, quello col tumore dentro. E lei quella forte, centrata, realizzata, quella felice”. Quella che lo vede stressato e gli dice di farsi una bella serata fuori perché “vorrei che non avessi sempre quella faccia da cane bastonato“. L’importante era che tornasse a casa col sorriso sulle labbra, nonostante le difficoltà di una vita che più che una scalata è un calvario.
Prima di andarsene Wondy scrive la lista delle sue “piccole volontà”: vestiti e gioielli da vendere a un Wondy Market Party con offerta libera per l’associazione aBRCAdaBRA onlus (che si occupa di portatrici della mutazione genetica BRCA1 BRCA2), una canzone di sua sorella al funerale, libri che gli amici possono prendere da casa sua ma solo se sono marchiati col timbro “ex libris francesca del rosso”. Con lei muore anche una parte di Alessandro, ma ne nasce uno nuovo. “A volte penso che se ne siano andati, con lei, quella tendenza al pessimismo che ho sempre definito “realismo”, la pigrizia, la mancanza di intraprendenza, la “bradipite acuta“. Perché Francesca sapeva di avere avuto una vita piena, e ha trionfato perché ha sempre reagito fino all’ultimo e tenuto lontano tutti dalla sua sofferenza. Tanto che sembrava che stesse bene. E invece no. Ai suoi bambini ha dedicato le ultime parole scritte su un quaderno: “Vivrò sempre sulla vostra spalla, non mancherò mai al momento del bisogno, e nemmeno mentre dormirete sonni meravigliosi, sappiatelo. Questa è più che una promessa. Vi amo”. Ma non è finita. Perché a lei Alessandro chiede “un ultimo sforzo: da lassù getta sul capo di noi una goccia del tuo inesauribile ottimismo. Basterà e avanzerà per capire come si vive sorridendo”.