Le banche, non solo italiane, ma europee, sembrano non fidarsi dell’affare Mose e dell’impegno dello Stato di portare a termine, entro il 2020, un’opera che alla fine sarà costata 5 miliardi e mezzo di euro. Il Consorzio Venezia Nuova ha, infatti, messo in gara una “procedura competitiva con negoziazione” per l’affidamento del servizio di tesoreria e di finanziamento bancario per il completamento degli interventi per la salvaguardia di Venezia. L’importo era di 150 milioni di euro, ma nessun istituto di credito od operatore finanziario ha presentato domanda. La gara 47 del Consorzio, che si è chiusa il 12 marzo, è così andata deserta. Lo stesso esito aveva avuto la precedente gara 46, per un importo di 50 milioni di euro. Un flop abbastanza preoccupante e inspiegabile, visto che le somme da erogare servono per pagare gli importi dovuti alle imprese esecutrici dei lavori in un arco di tempo che va dal 2018 al 2021. E quei lavori sono garantiti dallo Stato, visto che il Consorzio è concessionario del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché del Provveditorato alle Opere Pubbliche di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Inoltre l’emissione degli stati di avanzamento costituisce un’ulteriore prova di solvibilità.

Nel bando era spiegato che “nell’ambito delle risorse provenienti dal bilancio dello Stato, l’effettiva disponibilità di ‘cassa’ non corrisponde in linea temporale con l’assegnazione di ‘competenza‘”. Di conseguenza, anche rilevanti interventi devono “essere avviati ‘sotto riserva di legge’, ovvero utilizzando residui passivi e/o fondi perenti del bilancio statale”. È per questo che il Consorzio non riesce a coprire tutta a produzione a consuntivo degli stati di avanzamento “emessi e certificati in corso d’opera, il che compromette la necessaria continuità degli interventi”. L’indifferenza della banche è risultata una vera doccia fredda nella sede del Consorzio alle prese con notevoli problemi economico-finanziari dopo lo scandalo delle tangenti e il commissariamento. Basti pensare che solo un mese fa una quindicina di aziende del Mose avevano denunciato pubblicamente che da due anni attendono il versamento di 63 milioni di euro per lavori effettuati. Sono, quindi, a rischio chiusura con possibili effetti drammatici per centinaia di dipendenti che rimarrebbero senza lavoro e per numerosi appaltatori e professionisti. Complessivamente queste imprese fatturano 800 milioni di euro l’anno e hanno in totale mille dipendenti. In quella occasione l’associazione dei costruttori dell’edilizia aveva espresso il forte timore che non ci siano più soldi per il Mose e che l’opera resti incompiuta.

Al di là delle inchieste penali riguardanti Giovanni Mazzacurati e le elargizioni a pioggia ai politici, di come sono stati spesi i soldi per il Mose si stanno occupando i tre nuovi “commissari nominati un mese e mezzo fa dal ministro Graziano Delrio, d’intesa con Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Si tratta del generale della guardia di Finanza Cristiano Zaccagnini, del dirigente della prefettura di Roma Michelangelo Lo Monaco e del dirigente del Dipartimento Trasporti Alberto Chiovelli. Ma se le aziende si lamentano di non essere pagate, il Consorzio ha da tempo presentato il conto per errori progettuali e lavori fatti male a progettisti, imprese, direttori dei lavori e collaudatori delle opere del Mose. Due atti di “diffida e messa in mora” sono stati notificati per errori nel progetto della conca di navigazione a Malamocco e della lunata del Lido. Le due opere erano state danneggiate dopo due mareggiate, nel 2015 e nel 2012 e le somme indicate nella diffida raggiungono la somma non indifferente di circa 35 milioni di euro. Più di 28 per la conca, 6 per la lunata. Nel caso della conca di Malamocco si è scoperto che l’accesso delle navi era impedito da una struttura troppo piccola. Inoltre, le mareggiate avevano avuto effetti dannosi gravi perché nei progetti non erano state considerate le sollecitazioni del moto ondoso sulle strutture. Ma le accuse dei commissari sono state estese anche alle mancate verifiche preventive. Per questo le lettere di diffida e messa in mora hanno raggiunto numerosi progettisti, direttori dei lavori o collaudatori.

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