Emergono particolari inquietanti sul fronte romano nell’inchiesta della Procura di Bari sulla procedura fallimentare di Ferrovie Sud Est. Giuseppe Maria Pignataro, indagato per bancarotta, avrebbe cercato di convincere i vertici delle municipalizzate capitoline a non ricorrere alla procedura di concordato: "tutte le società andrebbero immediatamente in default perché le banche uscirebbero da tutti i rapporti". Il che porterebbe "al burrone tutto il Comune". Minacce anche a Ernst & Young
Pressioni sui dirigenti delle aziende capitoline e, indirettamente, sul Campidoglio stesso affinché Atac non ricorresse al concordato preventivo. Pena, per il Comune di Roma, la rimessa in discussione di tutti i rapporti finanziari con la Banca Nazionale del Lavoro. L’operazione fallimentare, infatti, non solo avrebbe messo a rischio la totalità degli importi vantati dall’istituto, fra i principali creditori della società romana dei trasporti, ma avrebbe anche interrotto il “sistema” che si era creato e che permetteva alle società pubbliche ad ottenere nuovi finanziamenti dagli istituti di credito sebbene non ve ne fossero le condizioni economiche. Motivo per il quale le pressioni si sono spostate poi sull’advisor privato scelto da Atac, la società Ernst & Young.
Emergono particolari inquietanti sul fronte romano nell’inchiesta della Procura di Bari che indaga per bancarotta fraudolenta in relazione all’operazione che ha portato alla procedura fallimentare per l’azienda pugliese Ferrovie Sud Est, procedimento a carico di 3 funzionari della Bnl e dell’amministratore unico della società Fes. Proprio uno di questi funzionari, Giuseppe Maria Pignataro – secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri – avrebbe cercato per settimane di evitare che Atac portasse i libri in tribunale, un’opera di convincimento perpetrata nei confronti della direttrice amministrazione e finanza dell’azienda capitolina, Maria Grazia Russo, ma anche verso l’ad di Ama, Lorenzo Bagnacani, altra società del Comune di Roma verso la quale la Bnl detiene un’altra importante linea di credito.
La Procura, infatti, trova delle forti analogie fra i casi di Atac e di Fes: l’obiettivo sarebbe stato quello di “scongiurare con ogni mezzo il rischio che la banca risulti sottoporsi alle regole della par condicio creditorum, concorrendo con gli altri creditori nel rispetto delle sole garanzie di legge”. Un intendimento apparentemente non andato a buon fine, sebbene precedentemente le banche creditrici abbiano ottenuto – come risulta dal piano concordatario e dal bilancio di Atac – “la postergazione (al 2019, ndr) dei crediti dell’azionista rispetto a quello dei creditori terzi”.
LE PRESSIONI E LE RASSICURAZIONI: “RIFERIRÒ” – L’allarme in Bnl scatta quando, il 27 luglio 2017, l’ex dg Bruno Rota rilascia due interviste al Fatto Quotidiano e al Corriere della Sera in cui parla chiaramente del concordato preventivo come unica soluzione per evitare il crack aziendale. Lo stesso giorno Pignataro chiama Russo, alla quale fa sapere che quelle “affermazioni sui giornali non aiutano i rapporti con le banche, di sicuro”. “Fate qualcosa, fate qualcosa – dice Pignataro – se mi posso permettere, perché questo è il modo migliore per distruggere quel poco di buono che ci è rimasto”. Dalle risposte, la dirigente appare concordare con le affermazioni di Pignataro.
Come si evince dall’ultimo bilancio pubblicato, poche settimane prima Atac aveva ottenuto da un pool di banche finanziatrici (Unicredit, Intesa, Montepaschi di Siena e, appunto, Bnl) un accordo di estensione del finanziamento, con indebitamento residuo per 135 milioni. Soprattutto, Pignataro allarga il discorso e mette in ballo la tenuta di tutto il sistema pubblico capitolino: “Questo va a nuocere anche su tutti i rapporti del Comune di Roma per noi, non è limitato solo ad Atac. Quindi ha un valore strategico”.
Il concetto viene ben ripetuto lo stesso giorno all’ad di Ama, Bagnacani, che inizialmente sembra spiazzato dal coinvolgimento della società dei rifiuti nella vicenda Atac. “Non so lei in che misura ritiene di poter trasmettere all’azionista questa situazione che provoca destabilizzazioni”, dice Pignataro ribadendo poi che “se, per assurdo, da qui a settembre Atac dovesse continuare a paventare di portare i libri in Tribunale questo creerebbe un vulnus molto significativo alla continuità dei rapporti fiduciari tra Ama e le banche e, quindi, bisogna stare attenti”.
Un segnale evidentemente colto dal numero uno di Ama, che replica: “Ho capito. Trasferisco il messaggio, sicuramente”. Le pressioni continuano anche fra fine agosto e inizio settembre, quando l’idea del concordato preventivo appare sempre più incombente. “Ama – dice Pignataro il 28 agosto a Bagnacani – non viene valutata come Ama, ma viene valutata dalla banca come Roma Capitale. Allora, il gruppo Roma Capitale nel momento in cui dovesse decidere di andare in concordato preventivo, quindi di portare in uno stato di sofferenza un credito verso Atac, alias Comune di Roma; a quel punto nessuna banca al mondo più potrebbe avere rapporti, addirittura di aumento dei fidi come stavamo ipotizzando di fare noi con voi”.
RACCOMANDAZIONI E “MINACCE” A ERNST & YOUNG – Una volta presentata richiesta di concordato al Tribunale Fallimentare di Roma, il 18 settembre, Pignataro si focalizza su Ernst & Young, dove il contatto telefonico si chiama Stefano Vittucci. “Siccome ci troviamo in una fase in cui loro hanno bisogno della liberazione dei pegni per far funzionare bene la società e noi per andare in delibera abbiamo bisogno di qualche pezza di appoggio che abbia un impegno morale forte”, ripete il funzionario Bnl il 20 settembre, che poi chiede al suo interlocutore la possibilità “di individuare per le banche, a fronte della concessione, quindi come se fosse una contropartita rispetto alla concessione che facciamo noi di liberazione delle garanzie, una modalità di rimodulazione del debito per il valore integrale in linea capitale nell’ambito della durata del contratto di servizio qualora questo fosse prorogato”.
In sintesi: la banca non chiuderà i rubinetti purché venga messa in posizione privilegiata in sede di recupero crediti. Quindi si passa a quella che i pm definiscono “esplicita minaccia”: “Se non sblocchiamo i conti pegnati, questi muoiono. Quindi muore tutto, anche il vostro mandato, non potrete fare più nessun concordato. E’ interesse di tutti”. Infine la proposta: “Un piano suddiviso per classi in relazione alle analisi e quindi, subordinatamente alle analisi avete indicazioni di rimodulare il debito delle banche integralmente nell’ambito della durata del contratto di servizio”.
LA SITUAZIONE ODIERNA – Attualmente, l’inchiesta della Procura di Bari è sul caso Ferrovie Sud Est e non su Atac. Il piano concordatario, deciso dal Campidoglio (socio al 100% della società di trasporti) è all’attenzione del Tribunale Fallimentare di Roma, che deciderà se accettarlo, modificarlo e quale sarà la classificazione dei creditori di Atac. Secondo il piano votato in Assemblea Capitolina, entro il 2021 la società di via Prenestina dovrà ovviamente rimborsare l’intero importo (155 milioni) ai creditori privilegiati, mentre ai chirografari (gran parte dei fornitori) sarà versata una quota pari al 31% delle somme spettanti. Dal 2022 inizierà la seconda fase definita “primo riparto”, in cui solo allora entrerà in gioco anche il Comune di Roma – che vanta con Atac crediti per circa 450 milioni di euro – con i creditori che potranno partecipare agli utili dell’azienda fino a raggiungere un importo totale rimborsa pari al 61% del proprio credito.