di Paola Corbo *

Dieci anni dopo la crisi la disoccupazione europea resta elevata e le politiche fiscali rimangono ancorate ai principi dell’austerità. In questo quadro, le speranze di una maggiore crescita sono affidate alle “riforme strutturali” e soprattutto alla progressiva deregolamentazione del mercato del lavoro.

L’idea, sostenuta strenuamente dalla letteratura economica di impostazione liberista – il cosiddetto mainstream – è che una sempre maggiore flessibilità del mercato del lavoro favorisca la crescita economica e occupazionale. In particolare, questo approccio sostiene che la riduzione delle protezioni dell’occupazione nel mercato del lavoro dovrebbe accrescere sia la flessibilità numerica (la facoltà di assumere e licenziare da parte delle imprese a costi complessivi sempre più ridotti) sia la flessibilità salariale (la possibilità di contrattare liberamente il salario tra imprenditore e lavoratore) sia la flessibilità funzionale (la possibilità di utilizzare liberamente il lavoratore all’interno del processo produttivo). Agendo su queste leve, secondo la teoria economica neoliberista, le imprese riuscirebbero ad adattarsi meglio al ciclo economico, il costo del lavoro seguirebbe le dinamiche della produttività e il sistema economico diverrebbe più competitivo, a tutto vantaggio della crescita e dell’occupazione.

Sul piano teorico, queste tesi sono state sottoposte a una serie di critiche che hanno mostrato perché le conclusioni del mainstream dipendano in realtà da una serie di assunti che poco hanno a che vedere con il reale funzionamento dell’economia di mercato.

Evitiamo di addentrarci nelle disquisizioni teoriche e proviamo a testare con una nuova metodologia quale sia stato il successo delle politiche di deregolamentazione. A questo scopo facciamo ricorso al famoso database messo a disposizione dall’Ocse per calcolare l’indice di protezione dell’occupazione (Employment Protection Legislation Index, EPL [1]) previsto dall’assetto normativo-istituzionale di ciascun Paese. Si tratta di un indicatore utilizzato tutt’oggi nella letteratura scientifica, essendo il migliore strumento esistente di misurazione del grado di rigidità/flessibilità del mercato del lavoro.

La metodologia tipica della maggior parte degli studi che si sono occupati di valutare l’impatto delle politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro è consistito nel calcolare la variazione assoluta dell’indice Epl in un arco temporale medio-lungo, ponendola in correlazione con la media delle variazioni, anno dopo anno, del tasso di disoccupazione, registrate nei singoli paesi (tecnicamente si operano delle regressione semplici bivariate). Sulla base di questi approcci, diversi studi hanno mostrato che non sussiste alcun nesso tra l’aumento della flessibilità del mercato del lavoro (e dunque la riduzione dell’Epl) e il livello dell’occupazione. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale, con l’autorevole ex capoeconomista Olivier Blachard, ha precisato che “le differenze nei regimi di protezione dell’occupazione appaino largamente incorrelate alle differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari Paesi”.

Proviamo ora a concentrarci esclusivamente sulle riforme principali del mercato del lavoro che si sono avute sulla scena europea e che, naturalmente, possono essere misurate dalle più marcate variazioni dell’indice di protezione del lavoro Epl stimato dall’Ocse. Concentriamoci cioè sugli “shock” significativi dell’indice Epl, facendo in particolare riferimento a variazioni dell’indice almeno superiori al 10% rispetto al valore dell’anno precedente la riforma considerata. A tale scopo consideriamo i 35 Paesi membri dell’area Ocse per l’arco temporale dal 1985 al 2010. 

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*Dottoranda Università del Sannio

[1] Dopo una serie continua di aggiornamenti, oggi l’EPL viene elaborato dall’OCSE sulla base di 21 indici sintetici che, con una serie di pesi, consentono di stimare i due sotto indicatori che contribuiscono a comporre l’EPL: l’indicatore di protezione per i contratti a tempo indeterminato (EPRC) e l’indicatore di protezione per i contratti a tempo determinato (EPT).  Per approfondimenti Cfr.: OECD, 2013a. Calculating summary indicators of EPL strictness: methodology.

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