Il via libera del consiglio dei ministri dopo i rinvii durante la campagna elettorale. Il ministro della Giustizia: "Nessun salva-ladri, a decidere sarà sempre un giudice valutando il percorso dei detenuti". Antigone: "Manca ancora un passaggio parlamentare, continueremo a fare pressione"
Il governo ha approvato la riforma dell’ordinamento penitenziario. La decisione, dopo molti rinvii soprattutto durante la campagna elettorale, è arrivata dal consiglio dei ministri. Il provvedimento estenderà la possibilità di accedere alla misure alternative al carcere per i detenuti. Il testo ora dovrà tornare alle commissioni parlamentari per l’ultimo vaglio. “Non è uno svuotacarceri” ha detto il ministro della Giustizia Andrea Orlando. E’ una risposta preventiva alle critiche, analoghe anche se non identiche, sollevate dal segretario della Lega Matteo Salvini e da Alfonso Bonafede, “ministro della Giustizia” nominato da Luigi Di Maio in un eventuale governo M5s.
Il decreto attuativo (che implementa un decreto legislativo già approvato dal Parlamento) dà la possibilità di accedere alle misure alternative al carcere anche a chi ha un residuo di pena fino a quattro anni, ma sempre tramite la valutazione del magistrato di sorveglianza. E in ogni caso non estende questa possibilità ai detenuti al 41bis per reati di mafia e quelli per reati di terrorismo. L’obiettivo della riforma, alla fine, è rendere più attuale l’ordinamento penitenziario previsto dalla riforma del 1975, per adeguarlo ai successivi orientamenti della giurisprudenza di Corte Costituzionale, Corte di Cassazione e Corti europee. Quindi con soluzioni che senza indebolire la sicurezza della collettività, riportino al centro del sistema la finalità rieducativa della pena indicata dall’articolo 27 della Costituzione, ma anche facilitare la gestione del settore penitenziario e a diminuire il sovraffollamento. Il decreto è suddiviso in 6 parti, dedicate alla riforma dell’assistenza sanitaria, alla semplificazione dei procedimenti, all’eliminazione di automatismi e preclusioni nel trattamento penitenziario, alle misure alternative, al volontariato e alla vita penitenziaria.
Sotto il profilo politico-parlamentare il testo appena approvato “potrebbe passare ora alla commissione speciale“. In attesa, infatti, che si costituisca una maggioranza in grado di dare vita alle commissioni parlamentari di merito una delle ipotesi, per avviare rapidamente i lavori delle Camere, è di istituire due commissioni speciali, una per ciascun ramo del Parlamento, con il compito di esaminare i provvedimenti urgenti. Lo stesso è accaduto nel 2013 per l’esame del Def, il Documento di economia e Finanza. Ed è l’ipotesi che torna anche in vista dell’esame del prossimo Def, che il governo dovrebbe presentare entro il 10 aprile.
Il decreto attuativo sulla riforma dell’ordinamento penitenziario ebbe il primo via libera preliminare da parte del Consiglio dei ministri il 22 dicembre, poi fu avviato alle Camere per i pareri, non vincolanti, delle commissioni. E in particolare la commissione giustizia del Senato chiese di modificarne il nocciolo duro. Il Cdm avrebbe dovuto riesaminarlo il 22 febbraio, prima delle elezioni, ma ci fu un rinvio. L’esame è quindi slittato ad oggi e sul tavolo del consiglio dei ministri il testo è arrivato senza le modifiche sostanziali chieste dalla commissione del Senato, ma con modifiche di piccola entità. Ma proprio perché “alcuni interventi sono stati recepiti” il testo dovrà avere un altro passaggio parlamentare. “Le modifiche apportate – ha specificato Orlando – non intaccano la sostanza del provvedimento”.
Nel merito, invece, spiega Orlando “questo non è un provvedimento salva-ladri, uno svuota-carceri: da domani non ci sarà nessun ladro in più in giro. Qualcuno tenterà di cavalcare queste paure. Ma da domani non uscirà nessuno dal carcere, da domani un giudice potrà valutare il comportamento del detenuto e ammetterlo a misure che gli consentono di restituire qualcosa di quello che ha tolto alla società”. In particolare il giudice dovrà valutare il comportamento tenuto dal detenuto (se ha studiato, se ha lavorato) e a quel punto il detenuto attraverso una diversa modalità della pena con misure alternative al carcere, che prevedono percorsi di lavoro e di servizio sociale, “potrà restituire alla società quello che ha tolto – continua il ministro guardasigilli – Si tratta di una misura che punta ad abbattere la recidiva: in Italia spendiamo quasi 3 miliardi l’anno per il trattamento dei detenuti, ma abbiamo una delle recidive più alte d’Europa“.
Soddisfatta l’associazione Antigone, che si occupa dei diritti dei detenuti. Il presidente Patrizio Gonnella parla di “un passo in avanti su temi delicati come la salute psichica, l’accesso alle misure alternative, la vita interna alle carceri, i rapporti con l’esterno, il sistema disciplinare. Purtroppo alcune norme essenziali sono rimaste al palo, come quelle sui minori o sulla sessualità“. Ma non è ancora detta l’ultima parola, proprio per i passaggi che ancora mancano in Parlamento. Per questo, spiega Gonnella, “c’è ancora da fare pressione e da non allentare la tensione poiché, in questa fase post-elettorale, i tempi potrebbero dilatarsi e la delega decadere. C’è infatti tempo fino ad inizio luglio per approvarla”. Svuota-carceri? Per il presidente di Antigone chi lo dice “è in malafede, perché non è vero, non si svuota proprio nulla”.
Sostegno alla legge arriva dall’Unione delle Camere Penali che d’altra parte per protestare contro i rinvii aveva proclamato uno sciopero. Questa misura serviva, dice l’Ucp, perché la statistica dice che “circa 70 per cento di coloro che scontano la pena in carcere, una volta eseguita la pena commette altri reati, mentre la percentuale di recidiva è bassissima per chi svolge un lavoro e ottiene misure alternative al carcere”.