Leggendo un articolo su uno dei miei siti preferiti sono venuto a conoscenza del Metodo Bortolato per l’insegnamento della matematica, descritto come rivoluzionario da importanti testate giornalistiche. Incuriosito, ho letto l’ultimo libro di Camillo Bortolato, “Lettera a un bambino che ha paura della matematica” e ho cercato gli elementi rivoluzionari.
Facciamo il punto:
– Basare il calcolo sul concreto (palline invece di cifre): già visto.
– L’importanza delle analogie: già vista.
– Critica alla “linea dei numeri”: già vista.
– Critica ai “numeri in colore”: già vista.
– Critica a un’impostazione insiemistica dell’insegnamento: già vista.
– Critica alle operazioni in colonna: già vista.
– Le dita delle mani per la rappresentazione binaria dei numeri: già viste.
– L’importanza di uno stato d’animo sereno nell’apprendimento: già vista.
Il libro mi pare una lunga denuncia di qualcosa che non esiste: una scuola monolitica e oppressiva che impone concetti sbagliati volti a confondere le idee. Non dubito che ci siano problemi, figuriamoci! Ma anche senza essere un didatta della matematica ho più volte constatato come il panorama dell’insegnamento della materia sia ricchissimo di esperimenti, confronti, teorie magari in contrasto reciproco ma in modo costruttivo. In un’intervista Bortolato lamenta di aver lavorato “in solitudine”. Ma se qualche volta è andato, per esempio, agli Incontri con la Matematica a Castel San Pietro, ha trovato migliaia d’insegnanti di ogni grado (dal nido all’università) desiderosi di mettere in comune problemi, metodi ed esperienze. Google Scholar, poi, presenta molti libri di Bortolato ma neanche un articolo sulle riviste specializzate di didattica della matematica. Se ha buone idee perché non le confronta con le altre? In ambito scientifico le certezze assolute sono sospette.
Non dubito (ne ho avuto riprova) che chi adotta il suo metodo riesca a insegnare più rapidamente ai suoi allievi a far di conto. Ma è realmente solo quello l’obiettivo? Leggo in una sua intervista “Ho costruito un altro modo di imparare la Matematica. Quella che si insegna a scuola per i bambini non è insegnamento ma una congiura concettuale. È disorientamento ideologico che li fa sentire perennemente in difficoltà. Addestrandoli alle idee astratte, ai soli concetti”; oppure nel libro “C’è qualcosa che vale di più dell’intelligenza di cui tutti si preoccupano. È la tua memoria” e “Proteggiti da quelli che s’innamorano della logica […] Meglio tu che sei di pancia”. Ora, cosa spero io per la mia nipotina che fra un po’ andrà a scuola? Magari anche che sappia fare rapidi calcoli mentali; ma più di tutto desidero che la matematica, nella sua gradualità, l’accompagni proprio verso la capacità di concepire concetti astratti, di esercitare l’intelligenza, di usare e amare la logica.
Perché avvenga questo non basta una ricetta; non esistono panacee. L’insegnamento, in particolare della matematica, richiede una consapevolezza ampia, una conoscenza approfondita, ben al di là di quello che viene direttamente trasmesso all’allievo. Per questo riconosco alla didattica della matematica una piena dignità scientifica. In questo so di essere in disaccordo con diversi colleghi d’élite. Sono però confortato dall’approfondito rapporto di Cédric Villani, vincitore della Medaglia Fields (uno dei massimi riconoscimenti matematici), e di Charles Torossian sulla didattica della matematica in Francia: in 96 pagine confermano che le conoscenze di base in matematica sono un’esigenza fondamentale di una nazione e che meritano il confluire di competenze ai diversi livelli.
Più che con Bortolato ce l’ho con certa stampa quando crede al primo che afferma di essere un rivoluzionario. Purtroppo molti giornalisti (non tutti) pensano che la scienza possa interessare solo se è la scoperta improvvisa, il colpo di genio, la novità eccentrica. Il semplice progresso, la competizione/collaborazione in un ambiente effervescente come quello tecnico-scientifico non fa scoop.
A certi giornalisti forse piace leggere quello che Bortolato dice nel libro al ragazzo che sta per uscire dalla primaria (“tempio” e “montagna” sono precedenti metafore): “Non ti salverà la cultura. Ti salverà l’innocenza che sai mantenere se vuoi avanzare nel campo della conoscenza. Quella stessa che ti fa comprendere ora che non c’è tempio, non c’è montagna, non c’è disciplina, non c’è matematica: sono solo parole”. Sono le rassicurazioni che danno tanti filmetti americani, quando ci dicono che il cuore è più importante del cervello.