Nel film "Country for Old Men" di Stefano Cravero e Pietro Jona le storie di anziani americani che si trasferiscono da una sanità costosissima o da una pensione che li porta a dovere scegliere tra cibo e medicine. “Ci avevano detto che lavorando sodo avremmo vissuto meglio dei nostri genitori, ma si sbagliavano”
Hanno lavorato per tutta la vita e ora sono costretti ad abbandonare il loro Paese per andare alla ricerca del benessere che gli era stato promesso. Sono centinaia i pensionati americani che nell’ultimo decennio hanno detto addio alla bandiera a stelle e strisce per passare la loro vecchiaia in Ecuador. Con in tasca i risparmi di una vita, non si scappa solo dal fallimento del sogno americano ma anche da una sanità che non garantisce una vecchiaia sicura o da una pensione che li porta a dovere scegliere tra cibo e medicine. Altri, invece, cercano in Sudamerica una ricchezza che il loro tenore di vita non gli permetteva negli States. Ecco i protagonisti di Country for Old Men documentario di Stefano Cravero e Pietro Jona, (prodotto da Enrica Capra per GraffitiDoc e Rai Cinema) che ha vinto il Trieste Film Festival 2018 nella sezione Premio Corso Salani. I protagonisti riassumono in poche parole la loro “fuga”: “Ci avevano detto che lavorando sodo avremmo vissuto meglio dei nostri genitori ma si sbagliavano”.
Raccontando di un’età della pensione tutt’altro che coincidente con la zona comfort, Cravero e Jona, entrambi al primo lavoro da regista, svelano la delusione di questi economic refugees di terza età che fanno le valigie alla ricerca del benessere e della sicurezza che l’American dream gli aveva promesso. “La classe media americana ha vissuto negli ultimi anni una crisi enorme – racconta Cravero – Molti hanno visto i loro risparmi investiti in fondi sparire nel nulla nel giro di poche ore”. Ma se da un lato ci sono coloro che con i soldi della loro pensione non riuscivano letteralmente a sopravvivere negli Usa, dall’altro ci sono elementi della middle class benestante che hanno deciso di emigrare per far fruttare al meglio i propri risparmi ed elevare il proprio tenore di vita.
Tra questi c’è Diane, una degli psicologi di supporto dopo la sparatoria alla scuola Columbine. Nella sua nuova abitazione dà il benvenuto un enorme jukebox portato dall’America per danzare con suo marito. Continuano a ripetersi quanto sia meraviglioso che in Ecuador le armi siano vietate. Poi c’è Cynthia, negli Usa condannata a vivere in ospizio mentre nella Cordigliera delle Ande è diventata l’anima del gruppo di cucito e la pet sitter più richiesta di Cotacachi, piccolo paese a più di 2mila metri nella sierra andina che ogni anno vede l’esodo dei pensionati statunitensi. Bruce e Claudia, invece, trascorrono il loro tempo tra la preparazione di torte, l’ascolto dei notiziari americani, le conversazioni con i nipotini e le partite di football in tv. “Bruce conta i giorni che lo separano dall’impianto di una protesi all’anca che gli permetterà di tornare a camminare, un’operazione che negli Stati Uniti gli costerebbe sessantamila dollari”, continuano i due registi. Nella ricetta ammaliante dell’Ecuador, infatti, i tratti di un paese politicamente tranquillo ma anche una buona sanità pubblica che per molti americani resta ancora una parte dell’American dream.
Eppure, tra improbabili tentativi di parlare la lingua locale, costruzioni di alte recinzioni e fondazioni per cani randagi, Country for old men racconta anche di quanti, invece, hanno lasciato gli Usa per costruirsi in Ecuador un mondo fittizio e slegato da ciò che accede fuori dalle loro case. Si fa quindi l’incontro con Michael, ex culturista ed ex produttore televisivo che vive in Ecuador come avrebbe voluto vivere a Hollywood. Con una governante e una casa piena di oggetti esotici. “Chi è andato a Cotacachi a spendere e spandere con arroganza oppure si è chiuso in una villa fortificata senza mai uscirne è probabilmente triste e infelice quanto lo fosse in patria – precisa Cravero – Chi ha saputo rimettersi in gioco cercando di inserirsi in una società nuova, vivendo questo trasferimento come un’opportunità e un’avventura, crediamo che abbia trovato davvero la serenità, talvolta scoprendosi una persona diversa da quella che pensava di essere”.
Una spinta al cambiamento che sta raggiungendo anche i pensionati italiani, e in generale europei. “Ci sembra che il fenomeno italiano, europeo ed americano abbiano in fondo le stesse ragioni di partenza e lo stesso modus operandi – racconta Pietro Jona -. Pensionati nella maggior parte appartenenti alla classe media che decidono di andare a trascorrere la vecchiaia in Paesi spesso poveri ma in grado di dare loro benessere”.
“L’idea che siano i membri della classe media di una nazione ricca e non più solo i disperati in fuga dalla miseria o dai paesi in guerra a prendere la decisione di lasciare la propria terra per cercare in un altro paese il loro benessere perduto per noi è il segno evidente di un malfunzionamento – continuano i due registi – del fallimento dell’ideale di progresso che le società occidentali hanno perseguito per tanto tempo a tutti i costi”. D’altra parte, gli esempi positivi raccontati nel documentario sono davvero positivi: ci sono persone che negli Stati Uniti sarebbero state destinate ad una vecchiaia triste e solitaria, e che in Ecuador hanno trovato amicizie, addirittura un mestiere, insomma una nuova vitalità. “Se fossimo rimasti negli Stati Uniti per altri dieci anni sarebbe stato facile prevedere come sarebbe stata la nostra vita – racconta un pensionato americano dalla sua nuova casa ecuadoriana –. Taglio l’erba, porto il cane a passeggio, vado la supermercato, torno a casa e faccio la stessa cosa tre o quattro giorni dopo. Ho pensato: ‘Non lo voglio fare. Non voglio passare gli ultimi anni in salute della mia vita facendo le stesse cose’”.