I Benetton, primi azionisti di Atlantia, hanno acquistato direttamente da Goldman Sachs il 15,4% di Eurotunnel. Si tratta dell’acquisto della quota più rilevante del Tunnel sotto la Manica. Dalla complessa produzione sul mercato di golf, oggi in crisi, i Benetton hanno da tempo intrapreso la strada anzi l’autostrada, della gestione e costruzione delle infrastrutture. Con questa operazione, avvenuta qualche settimana fa, Atlantia è diventata primo azionista grazie a un investimento da un miliardo di euro che li mette in cima all’elenco degli azionisti forti del gruppo, visto che il pacchetto acquistato controlla il 26,6% dei diritti di voto. Atlantia si è infilata nel Tunnel seguendo il suo business naturale, mentre è impegnata in un’altra grande operazione per l’ acquisto (che sta per concludersi) di Abertis, il colosso autostradale Iberico che dal maggio scorso è presente anche in Italia con una quota dell’85% nell’autostrada Serenissima Brescia-Padova. Quasi 200 km che si aggiungeranno alla rete attuale. Dopo la posizione di maggior operatore autostradale raggiunta in Italia, Atlantia si avvicina a nuovi e ambiziosi traguardi.

C’è da chiedersi, visto che si tratta prevalentemente delle attività di un concessionario pubblico che gestisce da 20 anni oltre la metà della rete autostradale italiana (3mila km su cui transitano 5 milioni di viaggiatori al giorno), come sia stato possibile questo vero e proprio exploit. Molti esperti sostengono che ci sia così tanta cassa nella pancia della società da rendere “facile” lo shopping della famiglia di Ponzano Veneto in Europa. La rete autostradale è un monopolio naturale, i ricavi sono assicurati, oltre che dall’assenza di rischi di mercato, dai bassi costi di gestione e manutenzione, dagli incrementi continui di traffico (merci e auto) e dalla sistematica automazione,  con la riduzione costante degli addetti.

Senza tornare alle polemiche sul valore della società, quando è stata venduta dall’Iri ai Benetton, quasi 20 anni fa, un approfondimento andrebbe fatto sul come e perché lo Stato assicuri ai suoi concessionari (in Italia sono 27) trattamenti normativi che consentono facili profitti. Concessioni trentennali, proroghe che evitano accuratamente di rimettere in gara la stessa concessione e incrementi tariffari sempre nettamente più alti dell’inflazione sono alla base di questa situazione. Situazione paradossale se si pensa che lo Stato avrebbe bisogno, come del pane, di trattenersi almeno una parte di queste rendite garantite per assicurare servizi pubblici migliori in questa difficile fase di crisi economica. Al contrario anche automobilisti e imprese sono sempre più tartassati da un sistema tariffario costruito nel tempo ai danni dei consumatori e dello Stato. Stato, che attraverso i Ministeri del Tesoro e delle Infrastrutture, negli anni ha concordato con i concessionari autostradali regole e convenzioni (pedaggi, investimenti e remunerazione degli stessi) talmente complesse che hanno finito per tutelare più gli interessi privati che quelli pubblici.

Trattandosi poi di una rete autostradale vecchia e già ammortizzata, il pedaggio, sempre in crescita, andrebbe invece ridotto sensibilmente. Ma lo Stato ha ceduto ogni prerogativa di controllo in convenzioni che nel tempo sono diventate veri e propri contratti (segreti) a tutela delle concessionarie. Ecco perché anche se si volesse sarebbe difficile mettere a gara il rinnovo di una concessione.

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