All’assemblea di Sinistra Dem il guardasigilli ha parlato di "pluralismo sacrificato nelle liste come tutti coloro che avevano disturbato il manovratore". Gli uomini dell'ex premier lo attaccano. Anzaldi: "Tafazzismo". Ascani: "Parole gravissime e senza precedenti". Faraone: "Attacchi sguaiati". Il ministro costretto a precisare: "Non ho accostato questo dato a questa fase o a questa dirigenza"
Ha invitato la platea a “riflettere sugli elementi di nepotismo e clientelismo che hanno caratterizzato il nostro partito” e a “ridimensionare gli ego”. Il motivo? Il pluralismo che “è stato sacrificato nelle liste come tutti coloro che avevano disturbato il manovratore“. Parole, quelle usate da Andrea Orlando all’assemblea di Sinistra Dem voluta da Gianni Cuperlo, che suonano come un evidente attacco a Matteo Renzi. E che infatti suscitano l’attacco immediato di tutti i renziani costringendo il guardasigilli a smentire: il suo ragionamento – dice – “non era assolutamente riferito all’ex segretario“.
E in effetti Orlando il nome di Renzi non lo cita mai. La pensano diversamente gli uomini più vicini all’ex premier che tra social network e comunicati inviati alle agenzie di stampa manganellano il leader della minoranza dem. “Il Pd dibatte sul presunto nepotismo ai tempi di Renzi, roba da denuncia. Le buone intenzioni degli organizzatori, con l’approfondita analisi di Gianni Cuperlo, utilizzate per un surreale processo nientemeno che all’inesistente clientelismo della precedente segretaria. Tafazzismo allo stato puro, se non di peggio”, scrive su facebook il deputato Michele Anzaldi. “Che un ministro della Giustizia in carica parli in un’occasione pubblica di clientelismo e nepotismo riferendosi al suo partito è qualcosa di gravissimo e senza precedenti. Sarebbe bene che Orlando si scusasse con la comunità che gli ha consentito di occupare in questi anni diverse posizioni di potere e che ha vergognosamente offeso”, dice Anna Ascani, che poi paragona il guardasigilli al Movimento 5 stelle. “Capisco -aggiunge- che il boom dei 5 stelle abbia sdoganato un certo tipo di linguaggio, ma non credo che il miglior modo per far ripartire il Pd sia adottare i metodi e gli insulti dei peggiori tra i grillini”.
Il sottosegretario Davide Faraone, invece, parla di “sguaiati attacchi diretti sempre contro Matteo Renzi che è l’unico, lo ricordo e lo sottolineo, che si è dimesso il giorno dopo il risultato elettorale. L’unico che ha fatto un passo indietro con grande senso di responsabilità, quel senso di responsabilità che manca a chi a parole chiede unità e poi quotidianamente continua a dividere e criticare“. Stessa linea per il deputato David Ermini che scarica la sconfitta su Orlando e gli altri partecipanti dell’assemblea di Cuperlo: “Ignorano le proprie sconfitte, le proprie responsabilità e alimentano insopportabili scontri interni che allontanano la nostra gente”.
Insomma quello a Orlando è un attacco concentrico. “Sono sorpreso dagli attacchi, in alcuni casi dalle vere e proprie aggressioni, che mi hanno rivolto i renziani”, dice il guardasigilli, prima di precisare. “Il ragionamento che ho fatto – sostiene – non era assolutamente riferito a Renzi. Dando una lettura al voto ho solo detto che al sud possono aver pesato fattori di familismo e clientelismo che caratterizzavano il Pd prima di questa stagione e che rischiano di sopravvivere a questa stagione del Pd. Non ho accostato questo dato a questa fase o a questa dirigenza. Se si pensa di cancellare questo problema, sollevato anche da molti esponenti della maggioranza renziana, attaccando me lo si può anche fare. Ma io temo che i fatti siano più forti delle polemiche e il nostro sforzo unitario dovrebbe essere indirizzato a superare questi limiti”.