A parole i principali leader dem escludono praticamente a ogni occasione il sostegno a un esecutivo pentastellato. I toni si fanno molto meno netti, però, se un'ipotesi del genere dovesse essere caldeggiata dal Quirinale. Il fondatore del partito: " Se sotto la regia del capo dello Stato, emergesse un' ipotesi a certe condizioni programmatiche - adesione chiara all'Europa, politiche sociali, ius soli, qualità e indipendenza dell'esecutivo -, il Pd farebbe bene a discuterne"
L’ultimo in ordine cronologico è Walter Veltroni, fondatore e primo segretario. Prima ci sono stati Gianni Cuperlo, Carlo Calenda e Andrea Orlando. E poi, ovviamente, una serie di intellettuali che Matteo Renzi aveva messo in soffitta bollandoli come “gufi“. Il tema è tra i più delicati: appoggiare o no un governo guidato dal Movimento 5 stelle? Domanda alla quale tutti o quasi i leader dem hanno già risposto. “Assolutamente no”. “Mai con i pentastellati”. “Il Pd è all’opposizione”, dicono praticamente a ogni occasione dal giorno successivo alla disfatta elettorale. I toni si fanno molto meno netti, però, se un’ipotesi del genere dovesse essere caldeggiata dal Quirinale. Lo chiamano governo di scopo, esecutivo con tutti per varare una legge elettorale e su alcuni temi concordati, ma alla fine appare per quello che è: l’unica via per sostenere esternamente un esecutivo a guida M5s.
“Una maggioranza M5s – Lega? Non la auspico, non ho mai condiviso la logica del tanto peggio tanto meglio. Il Pd sia un interlocutore non degli altri partiti, ma del presidente della Repubblica. Sarebbe sbagliato, per evitare le elezioni, rispondere di sì a chiunque chieda al Pd, dopo averlo insultato, di sostenere il proprio governo. Ma può darsi si creino le condizioni, attorno a un’iniziativa del presidente, per dare al Paese un governo che eviti il ricorso alle urne e affronti la legge elettorale e la questione sociale”, ha detto Veltroni al Corriere della Sera. Un’apertura al sostegno dem di un esecutivo di scopo su input di Sergio Mattarella? “Dipende se i 5 Stelle insistono nel pretendere l’ appoggio al governo scritto prima del voto, oppure concordano che non è tempo d’ imposizioni. Se a fine crisi, sotto la regia del capo dello Stato, emergesse un’ ipotesi a certe condizioni programmatiche – adesione chiara all’Europa, politiche sociali, ius soli, qualità e indipendenza dell’esecutivo -, il Pd farebbe bene a discuterne”, è la linea del primo segretario del Pd.
Più o meno la stessa posizione tenuta da Cuperlo, Orlando e Calenda all’Assemblea di Sinistra dem. “Se ci fossero per il governo vari tentativi a vuoto, un appello dal Colle a un governo condiviso con tutti i partiti verso un approdo, la legge elettorale, regole diverse e poi nuove elezioni, penso che noi non dovremmo restare sull’Aventino”, dice Cuperlo. “Il problema ora, rimesso anche alla saggezza del Capo dello Stato, è costruire una soluzione che tenga conto delle spinte emerse dal voto e le temperi in qualche modo”, è il pensiero del guardasigilli. “Se ci fosse un appello del Presidente della Repubblica a un Governo insieme a tutti gli altri, allora sarebbe un altro paio di maniche. Ma non è questa la fase, è presto per parlarne. Io penso che M5s e Pd non debbano stare insieme in un governo politico, se poi ci sarà un appello del Presidente Mattarella a tutti allora sarà un altro discorso”, concede il ministro dello Sviluppo Economico, che pure era tra i più netti oppositori dell’appoggio ai pentastellati. Posizioni che provocano il sussulto dei renziani. “Chi continua a sostenere a qualsiasi titolo esigenza di apertura del Pd a governo M5S, non ha a cuore il futuro Pd, ma la sua estinzione. Il governo tocca a chi ha vinto, chi ha perso deve fare opposizione seria e responsabile. È quello che faremo”, scrive su twitter il senatore Andrea Marcucci.
D’altra parte a spingere i dem verso il sostegno a un esecutivo targato M5s sono in queste settimane una serie di personalità legate a vario titolo alla sinistra. “Se il Pd sostiene i grillini non perderebbe consensi: basta vedere i flussi elettorali, gran parte dei voti persi dal Pd è andata proprio al Movimento 5 Stelle”, dice Massimo Cacciari. “Il M5S ha cambiato pelle, e i flussi di voto dimostrano come i due partiti hanno elettori affini”, scrive il politologo Piero Ignazi su Repubblica. “Bisogna mettersi a disposizione per i superiori interessi del Paese, chi ha votato Pd lo ha votato perché vuole che si rispetti la democrazia parlamentare, quindi non ha senso dire di tirarsi fuori”, spiega all’Huffington Post il politologo Gianfranco Pasquino. Secondo il professore “tra i 5 stelle e il Pd c’è una compatibilità programmatica di fondo, entrambi dovranno rinunciare a qualcosa del proprio programma, ma è una strada che si può percorrere”. “Guardando i numeri di questo Parlamento, un esperimento di alleanza di questo tipo mi pare comunque preferibile a ogni altro”, ha detto in un’intervista alla Stampa Salvatore Settis, ex presidente del Consiglio superiore dei beni culturali e direttore della Normale di Pisa. Nel frattempo tra i dem si comincia a ragionare sull’opportunità di varare un referendum tra gli iscritti al quale sottoporre la questione: appoggiare o non appoggiare un esecutivo M5s?