Un po’ di chiarezza in più nella disciplina della materia, forti perplessità sulla decisione di inasprire le pene e una vera novità rappresentata dall’introduzione del meccanismo della “licenza zero” che non è ancora operativo, ma che potenzialmente potrebbe portare grossi benefici alle imprese esportatrici semplificandogli la vita. Questo in sintesi il giudizio di operatori e addetti ai lavori sul decreto legislativo n. 221/2017 sul “duplice uso” entrato in vigore il primo febbraio scorso. Si tratta della normativa che disciplina la commercializzazione di quei prodotti e di quelle tecnologie che, pensati e realizzati per uso civile, potrebbero trovare impiego anche in ambito militare o essere utilizzati per somministrare la pena di morte, praticare la tortura o infliggere trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

L’export di questo genere di prodotti, che all’interno dell’Ue possono liberamente circolare in virtù di una normativa comune, è soggetto ad autorizzazione per quanto riguarda i Paesi extra Ue, in modo da assicurare il rispetto degli impegni e delle responsabilità internazionali anche in tema di non proliferazione e il divieto di export verso quei Paesi su cui gravano sanzioni internazionali. “L’Italia si è mossa in anticipo rispetto alla nuova disciplina Ue che è tutt’ora in fase di discussione tentando di recepire da subito alcune novità che a noi paiono positive”, ha sottolineato Massimo Cipolletti, direttore della Divisione IV del Ministero dello Sviluppo Economico, intervenendo nei giorni scorsi al convegno sulle novità introdotte dal decreto legislativo 221 organizzato a Milano dallo studio legale Padovan, che vanta una grande esperienza nel supporto e nella consulenza alle aziende in tema di export control e di sanzioni economiche internazionali. I beni e le tecnologie classificate come “dual use” rappresentano una quota importante dell’export italiano al di fuori dei confini dell’Unione perché comprendono non solo merci di immediata riconoscibilità, come ad esempio determinati prodotti chimici anche di uso comune, ma macchinari o parti di essi (ad esempio determinati tipi di valvole o tubazioni), circuiti, semilavorati e software.

Insomma, un mare magnum nel quale è difficile orientarsi, anche perché tecnologie e know how evolvono continuamente e ciò che fino a ieri non era considerato “dual use” potrebbe esserlo oggi, con la conseguenza che una mancata richiesta di autorizzazione all’export potrebbe tradursi in una sanzione penale per l’azienda. “Sotto questo profilo, il decreto legislativo 221 rappresenta una piccola rivoluzione copernicana – spiega l’avvocato Marco Padovan, titolare dell’omonimo studio legale -. Con la licenza “zero” si introduce in Italia una buona prassi già in vigore da tempo in Germania che prevede che sia il ministero dello Sviluppo economico a stabilire se l’export di un determinato prodotto sia da considerare libero o debba essere autorizzato, e ciò contribuisce a dare un orizzonte di certezza alle imprese”. La licenza “zero” altro non è infatti che una dichiarazione di libera esportazione di un bene, che mette al riparo le aziende da differenti interpretazioni che potrebbero sorgere in sede di controllo doganale.

Il meccanismo non è però immediatamente operativo perché mancano ancora i regolamenti attuativi: “Quella sulla licenza zero è una sorta di norma programmatica, dobbiamo ancora congegnare le modalità con le quali il Mise arriverà a dare il suo benestare – dice Cipolletti – e penso che su questo occorra sedersi a un tavolo tutti insieme – sistema imprenditoriale, politecnici e ministero –  per individuare un sistema di accreditamento condiviso, un meccanismo di partnership pubblico-privato”. E una maggiore collaborazione è richiesta anche dall’Agenzia delle Dogane perché lo stesso tornio può essere soggetto a obbligo autorizzativo o no e il controllo non può essere automatico: “Serve un’elevata conoscenza tecnica – dice Marcello Irlando dell’Agenzia delle Dogane – e a nessuno di noi fa piacere bloccare per giorni e giorni un’operazione, ma quando chiediamo schede tecniche e ci vengono inviati manuali da 400 pagine in cui magari mancano le informazioni richieste i ritardi diventano inevitabili”. Il tempo è uno dei fattori critici ed economicamente più rilevanti per le aziende esportatrici e anche sotto questo profilo l’introduzione della licenza “zero” può contribuire a migliorare le cose. Non è l’unico aspetto: secondo il procuratore aggiunto di Torino Alfredo Robledo, “la licenza zero è molto positiva perché con il coinvolgimento di tutti gli attori tende a ridimensionare l’importanza delle sanzioni penali, il cui inasprimento rappresenta una mera reazione demagogica di dubbia efficacia”.

Sotto il profilo penale viene introdotta anche la confisca obbligatoria “per equivalente”, vale a dire la confisca di beni di cui il reo ha disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato. “Si tratta di una norma molto dura – spiega Nicola Bonante – volta a stabilire il principio che il crimine non paga. E’ stata introdotta nell’ordinamento a partire dal reato di usura ed è considerata idonea a combattere la criminalità del profitto, tanto che la confisca non è una sanzione accessoria, ma una misura obbligatoria per la quale non è necessario attendere una sentenza di condanna e che può essere estesa anche ai beni donati a patto che facciano riferimento al reo”. Su questo punto, così come sull’inasprimento delle pene c’è molto dibattito, ma l’efficacia della confisca per equivalente per il contrasto di determinati tipi di criminalità non è in discussione e potrebbe anzi valere la pena considerare l’estensione di questo provvedimento ai reati finanziari rimasti per troppi anni sostanzialmente impuniti, come dimostrano le vicende di Callisto Tanzi, Sergio Cragnotti e dei tanti banchieri e amministratori che si sono resi responsabili dei crac bancari.

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