Sappiamo bene come la vita del tifoso non sia una vita semplice poiché lo stato d’animo del supporter è irrimediabilmente condizionato dai risultati della domenica. Il dì di festa può diventare dì di catastrofe, i pomeriggi domenicali più mesti di quanto per loro natura già non siano e i lunedì mattina preda di incontrollabili disturbi dell’umore.
Lo stadio, la pioggia, il seggiolino bagnato, il pullman, la trasferta, il vento, le file, il sole in faccia, le prime comunioni allo stesso orario della partita, Sky-go che non funziona, i telefoni che non prendono, le partite contro l’Inter col commento di Beppe Bergomi: insomma ci vuole il fisico.
Ma la vita del tifoso del Benevento – concedetemelo – quest’anno è senza dubbio la più ardua di tutte, caratterizzata da repentini e diffusi stravolgimenti emotivi in base ai quali dalla gioia pura si passa in trenta secondi (e puntualmente nei minuti di recupero) al più tetro dolore, dalla rassegnazione piena all’improvvisa felicità (caso molto, molto, molto più raro).
In un lasso di tempo brevissimo, sentimenti opposti si alternano velocissimi sicché non si ha il tempo di esultare che già si impreca, di imprecare che già si esulta (ripeto che il secondo caso avviene sempre con molta meno frequenza del primo).
Terminata la partita, il tifoso giallorosso esce dallo stadio centrifugato, con vertigini, acufeni, spossatezza e tutta la sintomatologia delle montagne russe mentre a casa, in contemporanea, i televisori vengono spenti violentemente, i telecomandi volano, i defibrillatori impazzano, le imprecazioni si levano al cielo come un’unica solenne preghiera.
Originariamente credevo, con grande ingenuità, che le cronache da outsider sarebbero state l’elemento più bislacco ad accompagnare il Benevento in Serie A, ma sin dagli albori di questo originalissimo campionato ho avuto modo di ricredermi, misurando la mia piccolezza al cospetto della realtà dei fatti che, partita dopo partita – fino a quest’ultima con gol del Cagliari al 91’ e rigore al 97’ -, si è dimostrata di gran lunga più strampalata della sottoscritta.
D’altra parte la categoria dell’assurdo ha assunto, con la stagione 2017-2018, una nuova e più vasta connotazione ed è il tifoso del Benevento, che ne ha sondato i più remoti abissi, il maggior esperto in materia.
Non c’è nulla, infatti, che somigli di più a una pièce di Eugène Ionesco del campionato del Benevento: la banalità del quotidiano, in questo caso quella marmorea e inscalfibile del placido rituale calcistico, come nell’opera del drammaturgo franco-rumeno, è rovesciata costantemente dall’elemento paradossale. E il nonsense smaschera il conformismo della condizione umana. Ci dispiace allora per il largo numero di epigoni dello scrittore, ma ormai è lampante come il vero erede sia il Benevento, stigmatizzato dall’immagine emblematica del portiere che segna su colpo di testa.
«Prof, se non esistessero i minuti di recupero avreste vinto la Champions League!» ebbe a dire un alunno milanese. Sfortunatamente però i minuti di recupero esistono e abbiamo amaramente compreso come il recupero in questione sia sempre altrui, tuttavia se non proprio la vittoria della Champions al Benevento spetterebbe, per via di altre innegabili qualità, il premio della critica.
Ps: Gli amici della domenica conferiscono il tredicesimo Premio Stregone a Léon-Claude Duhamel, l’inventore del K-Way. Ovunque egli sia.