Sono più di 600 i migranti in attesa di ricollocamento nelle strutture d’accoglienza italiane. Dopo mesi di segnalazioni e denunce, gli esposti di associazioni, avvocati e operatori hanno fatto chiudere temporaneamente due hotspot – Lampedusa e Taranto – mentre una società del varesotto – Kb srl – ha dovuto chiudere le sue strutture per presunte irregolarità su cui sta indagando la procura di Busto Arsizio. Per completare i trasferimenti servirà almeno tutto il mese, secondo il ministero.

La prima struttura ad essere stata temporaneamente chiusa è stata l’hotspot di Lampedusa, gestito dalla Misericordia e dalla Croce Rossa, per lavori di manutenzione. Al momento sull’isola si effettuano solo alcune procedure di riconoscimento, anche se non è chiaro in quali ambienti, vista la ristrutturazione in corso. L’ultima volta che Giulia Crescini, avvocato dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione è stata a visitare la struttura era inizio marzo, appena prima che un incendio devastasse la struttura. Il motivo per cui il Viminale ha deciso di chiudere la struttura al momento. All’interno c’erano circa 170 persone, in media da oltre 15 giorni. I tempi di permanenza all’hotspot, al contrario, dovrebbero di 48-36 ore al massimo. La struttura di Lampedusa è stata più volte segnalata per condizioni igieniche inadeguate. Motivi per i quali gli ospiti hanno protestato più volte, a partire dal 2016.

“È difficile seguire dove vengono trasferiti gli ospiti”, spiega l’avvocato Crescini. Risulta che due nuclei familiari, sei persone, siano stati trasferiti in un centro di accoglienza di Agrigento. Da chiarire invece la situazione di due minori il cui padre il 15 marzo è stato arrestato come uno degli autori dell’incendio, insieme ad altre tre persone. Sull’isola di Lampedusa restano circa 50 persone, tra le quali c’è una ragazza sola con disturbi mentali. Gli avvocati ne avevano già richiesto il trasferimento in una struttura di accoglienza adeguata. Gli altri 30-35 ospiti sono stati portati prevalentemente nei Cpr, i centri per il rimpatrio di Potenza, Torino e Bari. L’ultimo passaggio prima delle espulsioni. “Ci risulta che per molti non è stato possibile formalizzare la richiesta d’asilo a Lampedusa, cosa che dovrebbe accadere nel giro di un paio di giorni”, commenta l’avvocato Gennaro Santoro di Cild, la Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili, che insieme ad Asgi ha partecipato all’ultima visita della struttura. In questo modo secondo gli avvocati non si garantisce la tutela del diritto d’asilo e rischiano il rimpatrio anche persone a cui invece andrebbe riconosciuta una forma di protezione internazionale.

Secondo l’ufficio stampa del Ministero dell’Interno, il 19 marzo per l’hotspot di Taranto sarà la “data di avvio dei lavori di miglioramento delle strutture dedicate all’accoglienza dei migranti”. Difficile capire se il centro sarà allargato in previsione di un possibile aumento dei flussi migratori – per ora nel 2018 concentrati soprattuto lungo la rotta Tunisia-Italia – oppure al contrario l’hotspot sarà ridimensionato. Un fattore chiave sarà anche la tenuta degli accordi che il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha stretto con la Libia.

Come per Lampedusa, non sono previste date di riapertura. E nel frattempo i migranti vengono dirottati sull’hotspot di Crotone. Il tutto avviene a poche ore di distanza dalla delibera dell’Anac che rileva dubbi sulla gestione degli appalti all’interno del centro. Anche in questo hotspot il clima è teso da tempo: a luglio gli avvocati degli ospiti hanno denunciato respingimenti in massa di persone provenienti dal Marocco a cui sostengono fosse impedito depositare richiesta di asilo politico, in un modo analogo a quanto rilevato a Lampedusa.

Ma i problemi non sono limitati ai soli hotspot, le strutture più recenti introdotte nel nostro sistema di accoglienza. In Lombardia, la regione in cui si trova la maggior parte dei migranti, la procura di Busto Arsizio ha fatto chiudere le strutture della Kb srl – che dal 2014 gestisce l’ospitalità di circa 600 migranti a Varese e provincia – con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. L’inchiesta si starebbe concentrando su contributi ricevuti che non corrisponderebbero ai servizi erogati. Le perquisizioni fin qui hanno coinvolto i centri di Kb e della sua società fornitrice di servizi, la cooperativa Arca. Già a febbraio Kb aveva deciso di non partecipare più al bando della Prefettura di Varese, sostenendo di avere un credito nei confronti dello Stato di oltre 2 milioni di euro.

Il Viminale spiega a ilfattoquotidiano.it che in questo momento “è in corso di svolgimento la ricollocazione degli ospiti dei centri di accoglienza gestiti nella provincia di Varese dalla società Kb verso le strutture della Regione Lombardia”. Parte dei 400 in attesa di una nuova sistemazione in altri comuni della Lombardia – 200 circa dovrebbero restare in provincia – si trova a Bresso, dove la Croce rossa ha un centro polifunzionale. Per gli altri la destinazione ancora non è chiara. Nel frattempo la Prefettura di Varese ha indetto una nuova gara per trovare altre strutture.

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