Il ricordo e l’emozione. E Spartaco. Chissà se Spartaco ricordava le terre di Tracia, chissà se si emozionava quando nella finzione hollywoodiana tutti i superstiti si innalzavano dalle loro ferite per gridare “Io sono Spartaco”. Bisogna leggerla l’intervista sul Corriere a Walter Veltroni, uno dei quattro politici cui, in quarant’anni di carriera, mi sono concesso il lusso di dare del tu, per capire perché hanno vinto le legioni di Crasso e Pompeo. Bisogna leggere l’agilità da entrechat huit con cui l’uomo che ha celebrato il trionfo della globalizzazione in salsa italiana, il convegno del Lingotto, che ha plasmato un partito della terza via, continuamente rimpianto nell’intervista, all’immediata vigilia della esplosione planetaria del modello, ci dice che bisogna rifare l’Andata al popolo, cioè esattamente l’atto costitutivo del primo movimento populista della storia, quello russo.
E’ sconcertante leggere la sua critica degli esiti. La precarietà, la solitudine, la povertà, l’insicurezza, la schiavitù dei nuovi lavori. E rifiutarsi, ostinatamente, ciecamente, di fare due più due. Eri forse un passante, Walter? No, ovviamente, tanto che lo rivendichi quel Partito democratico come unica soluzione. Naturalmente quello. Insomma sei immerso fino alla cima dei capelli in quell’aporia che non si può dire meglio e con meno parole di quelle usate da Anthony Barnett di Opendemocracy, per il mondo anglosassone “Se tutto quello che volete è fermare la Brexit e Trump, per tornare a quella che per voi è la normalità, non capite che è stata la normalità a portare alla Brexit e a Trump”.
Voi volete la “ripresa”. Che tutto riprenda col tran tran di prima. Invece no, non succede. Per anni uno dei più stucchevoli luoghi comuni della comunicazione è stata la storia dell’ideogramma cinese che significa insieme crisi e opportunità. Poi la crisi è arrivata ed è stata, sì, un’opportunità. Per i pochi non per i molti, direbbe Corbyn. Per i molti è stata crisi senza opportunità. E lo continuerà ad essere finché tutti i Veltroni d’Europa non capiranno che alla crisi non si può rispondere ripetendo tornerà tutto come prima. Bisogna rovesciare come un guanto la frase di San Cipriano, extra ecclesiam nulla salus. Non c’è salvezza nella chiesa del neoliberismo.
Non si tratta di aggiustare con il cacciavite prodiano. Anzi aggiustare un meccanismo perverso è un crimine, perlomeno, come abbiamo visto, una stolida complicità. E non conta la purezza della coscienza, l’onestà personale. Pensate a quanto puro fu il meraviglioso Francesco, mentre si spogliava dei beni e delle vesti. Quella Chiesa medievale ingoiò la sua protesta dall’interno senza fare una piega, al primo papa francescano Niccolò, seguì Bonifacio VIII. E invece il non santo, persecutore di contadini, politico corruttibile, Lutero non si recupera; perché esce. Esce extra ecclesiam.
Finché la sinistra di fronte all’Imperatore e alla Dieta dei nobili, con la minaccia del rogo sulla testa non saprà ripetere Hier stehe ich, ich kann nicht anders, Gott helfe mir, amen (Io rimango fermo, non posso fare altrimenti, Iddio mi aiuti, amen) anche a costo della scomunica, anche a costo dello scisma, anche al costo delle guerre di religione. Perché, tanto, Spartaco e i suoi sono comunque in croce da Porta San Sebastiano a Capua.