Daniele Timpano è un autore di teatro politico della nevrosi, dell’insofferenza, dell’eccezione. Tutto gravita, mi sembra, attorno al dato generazionale. Timpano appartiene a quelli nati negli anni ’70, investiti dalla deflagrazione della politica fatta di radicalismi violenti, convergenze parallele dorotee, cortei infiniti, infiammati monologhi sindacali, genitori zii fratelli impegnati fra piazze e salotti, qualche morto.
In questa confusione vista con gli occhi dei bambini che registrano emotivamente ogni piccolo segnale tellurico si aggiunge il trionfo del media televisivo e della cultura pop, soprattutto attraverso il primo avvento, pervasivo, della tecnologia nell’immaginario. I robot giapponesi, le guerre stellari, i primi giochi elettronici. Un’anticipazione stroboscopica del mondo industriale quattro o cinque o sei punto zero che deve arrivare, che forse è già arrivato, che insomma non si capisce se ci stiamo già convivendo e se Terminator sarà il nipote violento dei bracci meccanici industriali. Se poi considerate che questi bambini crescendo hanno dovuto confrontarsi per primi con un mostro enorme e peloso chiamato precariato, capirete che l’equilibrio nervoso di questa sfortunata generazione è stato messo a dura prova. Che insomma se poi uno è un po’ esacerbato qualche ragione ce l’ha.
Ho provato a darvi l’idea in estrema sintesi del mondo iper-referenziale di Daniele Timpano permettendomi di condividerne il senso di frustrazione e l’energia senza sfogo destinata all’implosione. Questa interpretazione del mondo sempre in tensione ritengo sia la base del suo teatro, della sua ricerca destinata a non trovare mai una risposta alle domande perché il senso di tutto è nell’espressione. E se Timpano non dovesse essere d’accordo è lo stesso, perché il suo linguaggio, la sua fisicità, il suo teatro, ogni volta che vanno in scena appartengono a tutti i drop-out.
Se avete letto fin qui e compreso uno stato d’animo, non pretendo la condivisione, passo a raccontarvi Acqua di Colonia, lo spettacolo di Frosini e Timpano che ho visto al Teatro ITC di San Lazzaro, Bologna. Acqua di Colonia è una lezione sul colonialismo italiano, che è stato violentissimo. Perché gli italiani non sono brava gente. Mentre alcuni tedeschi per dire covano il nazionalsocialismo nel silenzio di un senso di colpa istituzionale, molti italiani sventolano disinvolti il loro fascismo nei piccoli gesti quotidiani. E’ generico, lo so. E’ grottesco.
Ma questa è la risposta di Timpano che sceglie di appropriarsi del linguaggio politicamente scorretto per ritorcerlo contro i qualunquisti che lo brandiscono come clava argomentativa (ne potete trovare tanti nei commenti “social”), restitunedoli in tutta la loro sgradevolezza. Frosini e Timpano ritraggono gli italiani alternando dialoghi che aderiscono al sentito dire, a un presunto buonsenso, alla retorica pomposa e idealista su un Paese che semplicemente non esiste. Creano deliranti macchiette di stolidi politici che credono di provocare con iniziative revisioniste, di intellettuali di estrazione borghese che ritraggono il popolo (qualsiasi cosa sia oggi) come una specie da preservare.
Elvira Frosini indietreggia sul palco passo dopo passo in una linea ideale a ritroso nella Storia: il colonialismo è nato quando il potere, questa cosa che logora chi non ce l’ha perché lo umilia e lo schiaccia, è diventato invadente, e quindi prescinde dall’Africa, passando per i Savoia che si inventano l’Italia, per l’avidità crudele della Spagna e del Portogallo, per il sogno infantile e delirante di Alessandro Magno.
Colonialismo è tante cose. E’ paternalismo che manifesta presunzione. E’ interesse economico travestito da solidarietà. E’ simpatia che nasconde appetiti. Quello che emerge da Acqua di Colonia è un paradigma che vale per qualsiasi contesto: c’è stato, c’è e ci sarà sempre un uomo vestito di bianco con un panama in testa a comandare “un negro” col gonnellino di paglia. L’importante è depistare, confondere, censurare, dimenticare, perfino blandire per mantenere lo stato di fatto. Fino alla prossima colonizzazione.
Foto tratta dalla pagina Facebook della compagnia Frosini/Timpano