Il 18 marzo Paolo Cugno ha sferrato sei coltellate alla moglie Laura Petrolito e poi l’ha gettata in un pozzo artesiano. Secondo il blog “In quanto donna” sarebbe la diciassettesima donna uccisa nel 2018. E ieri si è aggiunta anche Immacolata Villani, assassinata dal suo ex marito Pasquale Vitiello a Terzigno, che stamani si è tolto la vita.

Quello di Laura (come quello di Immacolata) è un femminicidio ma i cronisti descrivono ancora il crimine come frutto di un raptus, adoperando le stesse parole con cui l’assassino ha giustificato il suo gesto: “E’ stato un raptus di gelosia“. Gli inquirenti invece parlano (così riportano alcune testate) di “classico delitto d’impeto” (vedi delitto passionale), di “rapporto travagliato segnato da frequenti litigi”, di “tasso di gelosia elevato”, di  “violenza progressiva e progressione della violenza” di “fantasmi di gelosia”.

In alcuni articoli si legge di un amore litigioso ma nulla di cui preoccuparsi (i soliti vicini di casa). Altri quotidiani riportano la testimonianza di una zia di Laura che rivela invece come Paolo Cugno avesse picchiato la nipote più volte. Altri ancora che Laura fosse già tornata a casa dal padre. Allora  quella relazione era tutt’altro che un “amore travagliato” con qualche litigio di poca importanza. E no. Laura non è morta quasi per caso durante una passeggiata nei campi, inciampando in un destino inevitabile, perché la violenza non è frutto di “progressione” autonoma ma è una scelta di chi la commette.

Quello che è stato narrato andrebbe tradotto così: Paolo Cugno era un uomo violento, già denunciato in passato per aver minacciato un uomo con una motosega. Ha ucciso Laura e il contesto è quello di una relazione dove c’era maltrattamento e in più occasioni Laura aveva cercato di sottrarsi andando qualche volta a rifugiarsi a casa del padre. Non si sa ancora se Laura avesse chiesto aiuto a qualcuno e se avesse trovato le parole per dire le violenze che subiva. Dicono che non avesse mai denunciato. Ci si aspetta sempre dalle donne che subiscono violenza una piena consapevolezza anche se poi non la si trova nei luoghi dove si dovrebbe sapere che cos’è la violenza contro le donne, come viene agita. Laura era cresciuta in una cultura che, nei luoghi istituzionali come nelle strade e sulle pagine della cronaca, vela le parole e fa scendere sulla violenza contro le donne un sipario di non detti e di narrazioni tossiche.

Si chiama controllo e potere, non “gelosia”. Si chiama femminicidio non “classico delitto d’impeto”. Non ha nulla di “classico” ma è criminale.

@nadiesdaa

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Dig Awards 2018: “Video sempre più centrale nel racconto di conflitti, soprusi, pezzi di realtà sconosciuti”

next