La sbronza da guida autonoma ha fatto la sua prima vittima, e giù a interrogarsi su cosa non ha funzionato. Nessuna certezza a riguardo ma solo ipotesi. Come quelle che tecnici e cattedratici di parecchie università stanno avanzando, tra cui quella che sensori e telecamere della vettura non abbiano funzionato a dovere, ignorando la presenza della malcapitata Elaine Helzberg, nella notte maledetta di Tempe.
Altra possibilità, che potremmo definire “sistemica” e dunque più grave, è che l’algoritmo che sovrintende ai comandi non sia stato in grado di discernere cosa i suddetti sensori e camere gli stavano trasmettendo. Di qualunque cosa si tratti, il commento più saggio viene dall’esperto del Mit (Massachusetts Institute of Technology) Bryan Reimer: “Finchè non capiremo meglio questi sistemi dobbiamo prenderci più tempo“.
Come se non bastasse, a gettare ulteriore incertezza sull’accaduto arrivano i primi rilievi della polizia, secondo cui sarebbe stato difficile (se non impossibile) anche per un guidatore “umano” evitare quella donna, che pare si sia letteralmente catapultata in strada: la 49enne, secondo le autorità, avrebbe approcciato l’asfalto non su un attraversamento pedonale come sembrava in un primo momento, ma almeno a cento metri di distanza, in un punto pericoloso e scarsamente illuminato. In particolare, dai video di bordo la sagoma della donna appare “come un’ombra”, difficile da distinguere e dunque da evitare.
Dov’è, dunque, la verità? Qualcuno prima o poi dovrà dirla, anche se temo che suonerà come una dichiarazione di circostanza. E qui torniamo a quel ricercatore del Mit di cui sopra, che invita a prendersi tempo. Quello che stanno bruciando il prima possibile per battere la concorrenza e prendersi un posto al sole. Non solo Uber, ma tutti quelli che la corsa alla mobilità autopilotata la stanno facendo insieme a lei. Le case automobilistiche classiche (Audi, Bmw, Ford, GM, Honda, Mercedes, Nissan, Subaru, Tesla, Volkswagen), ma anche i colossi dell’high-tech, categoria di cui fanno parte nomi del calibro di Apple, Google (tramite Waymo), Badu, Nvidia. Non è un caso che le aziende che l’anno scorso hanno investito di più in ricerca e sviluppo (26,6 miliardi in due contro i 23 dell’Italia intera, per dire) siano proprio Volkswagen e Big G.
Il tempo è proprio quello che loro, i cervelloni, non si stanno dando. E che invece serve disperatamente. Perché si è permesso la sperimentazione sulle strade di tutti i giorni, quando ancora la tecnologia non è matura e soprattutto non esiste un quadro normativo? A chi verrà data la colpa di aver investito e ucciso quella donna? All’auto? Al tester che ci era seduto dentro e non ha fatto in tempo ad intervenire? A Uber? O magari allo stato dell’Arizona, che quei test su strada li ha autorizzati? Dalle risposte a queste e ad altre domande che verranno, capiremo se il futuro della mobilità che ci dipingono è un business o ha un fondamento di scienza.