Voleva bruciarli vivi. Con l’accusa di tentato omicidio plurimo e incendio doloso, stamattina all’alba è stato arrestato il boss Nino Labate, uno dei fratelli che guida l’omonima cosca conosciuta nella zona sud di Reggio Calabria con il soprannome dei “Ti Mangio”. L’operazione “Nerone”, condotta dalla squadra mobile, ha fatto luce sull’incendio che il boss in persona ha appiccato il 27 febbraio scorso quando ha tentato di uccidere sei persone di origine rumena che si trovavano in un’abitazione di fortuna intenti a festeggiare un compleanno. Tra questi c’erano anche due bambini. Nino Labate, 68 anni ed esponente di vertice della famiglia mafiosa che detta legge nel quartiere Gebbione, è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Reggio su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Secondo gli investigatori, non ci sono dubbi che sia stato il boss a incendiare il luogo dove abitava la donna straniera di 46 anni. I fatti risalgono al 27 febbraio quando la vittima e gli altri rumeni si sono accorti delle fiamme che divampavano all’interno dello stabile. Si sono salvati solo perché sono riusciti a scavalcare una finestra posteriore che dava su un cortiletto circondato da alti muri di cinta.

Stando alle indagini, Labate aveva litigato con la donna quella stessa mattina. Il boss, infatti, aveva già picchiato con un bastone la donna rumena che occupava l’immobile con i suoi ospiti. Già prima di appiccare l’incendio, infatti, li aveva minacciati di “bruciarli vivi” per aver abbandonato alcuni sacchetti di spazzatura accanto all’ingresso di un podere di proprietà dei Labate. Dalle parole, il “Ti mangio” era passato ai fatti cospargendo di benzina e dando fuoco all’androne dell’abitazione in cui erano presenti gli stranieri che hanno così rischiato di morire arsi vivi. Fondamentali per la squadra mobile sono stati i filmati dei sistemi di videosorveglianza presenti nella zona. Grazie alle telecamere posizionate sulle strade vicine al luogo del delitto, la polizia è riuscita ad accertare che, nello stesso pomeriggio, a bordo di una bicicletta elettrica Nino Labate era andato a riempire un bidone di benzina presso un distributore di carburanti della zona. La stessa benzina poi è stata utilizzata dal boss per appiccare l’incendio e portare a termine la sua missione di morte.

Oltre al tentato omicidio plurimo e all’incendio doloso, la Dda ha contestato al boss l’aggravante mafiosa perché i fatti sono stati commessi per agevolare l’attività della cosca Labate, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva. Nino Labate è fratello dei boss Pietro e Michele Labate che nel quartiere di “Gebbione” rappresentano un’istituzione mafiosa in grado di controllare ogni singolo metro-quadro del loro territorio. Stando alle indagini che la Direzione distrettuale antimafia ha condotto negli ultimi anni sulla pericolosa famiglia mafiosa di Reggio, infatti, non c’è un’attività commerciale o un’impresa che, nella zona sud di Reggio Calabria, non debba dare conto ai Labate, forse la sola cosca rimasta fuori dalla guerra di mafia che dal 1985 al 1991 ha insanguinato la città dello Stretto. Nella geografia delle famiglie mafiose reggine, in quegli anni il quartiere di Gebbione è stata una sorta di “Repubblica di San Marino” dove anche gli altri boss, per entrare, dovevano togliersi il cappello e chiedere il permesso a Pietro Labate.

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