Un rapporto del Joint Research Center della Commissione Europea che elabora gli spostamenti di oltre 6500 studiosi europei. Ed emerge che il saldo tra rientri a partenze dei connazionali è positivo. Così ci collochiamo a metà classifica in Ue. Ma c'è ancora tanto da fare per richiamarli "a casa"
I cervelli italiani non sono soltanto in fuga, ma rientrano anche. Anzi: il saldo è positivo sul fronte di chi decide di rimpatriare. Il Sole 24 Ore pubblica la sintesi di un rapporto del Joint Research Center della Commissione Europea che elabora gli spostamenti di oltre 6500 studiosi europei. Dalla relazione emerge un “tasso di spostamento del 38,7% nella Ue a 28″ e l’Italia “col suo 45% si piazza a metà classifica”. Nel caso dei nostri ricercatori presi in esame, “quasi uno su quattro (il 24,4%) ha scelto infatti di rientrare e il 20,5% di andare all’estero. Numeri che nel primo caso ci pongono “al di sotto della media europea del 26% e nel secondo al di sopra rispetto al 12,6% complessivo”. E anche guardando al paese di conseguimento del dottorato e non alla nazionalità, la tendenza non cambia: in questo caso “i ritorni lungo la penisola sono stati il 23,6% (media Ue del 16,8%) contro il 13,6% di partenze (media Ue del 17,2%)”.
Guardando invece all’Europa, i paesi che vedono altissimi tassi di rientro sono Lussemburgo (88,9%), Islanda (88,2%), Cipro (81,4%) e Malta (77,9%). Sono tutti caratterizzati da un basso numero di ricercatori, che dopo la specializzazione all’estero decidono di tornare e non lasciano ma il paese per l’ottenimento del dottorato. Guardando invece ai nostri tradizionali competitor, in Germania le uscite sono il 51% (la maggior parte “in fuga” verso la Svizzera) con il 14% di ritorni, in Francia sono rispettivamente il 20,2 e il 16,6 e nel Regno Unito il 24,2% contro il 13,6%.
Guardando alle ragioni del rientro, i bandi dell’European Research Center offrono la possibilità a decine di ricercatori italiani di rimpatriare: l’anno scorso 335 ricercatori italiani se lo sono aggiudicati all’estero, e sono finiti nelle mani di connazionali in patria 402 dei 437 di quelli attribuiti al nostro paese, per un totale di 704 milioni di euro. Inoltre dal 2009 il Miur ha autorizzato 804 chiamate dirette, dai grant dell’Erc fino ai vincitori dei bandi Rita Levi Montalcini. Ma questi sono solo alcuni esempi all’interno di una serie di canali più ampia, che include anche altri programmi di ricerca.
C’è però ancora molto da fare. Due esempi su tutti: le cattedre Giulio Natta “introdotte dalla legge di bilancio del 2016 non sono mai state bandite” e il bonus fiscale per rimborsare le imposte di chi è rientrato non abbia ancora trovato attuazione. Il tema della fuga dei cervelli negli ultimi anni è diventato un elemento centrale nel tessuto economico del nostro Paese, ma non è ancora arrivato a essere oggetto di dibattito politico. O almeno non quanto dovrebbe. Il centro studi di Confindustria ha calcolato che la fuga dei cervelli all’estero fa perdere all’Italia in termini capitale umano circa 14 miliardi all’anno, pari a 1 punto percentuale di pil. Un capitale umano che però sul fronte della ricerca realizza piani di rientro.