Christopher Wylie ha 28 anni ma ha imparato a combattere quando era davvero piccino.
Il giovane che ha scoperchiato il vaso di Pandora della terribile vicenda in cui si intrecciano i destini di Facebook, Cambridge Analytica e soprattutto dei nostri dati personali, arriva dal Canada e il coraggio di denunciare tutto e tutti ha radici profonde.
La vita lo ha costretto ad affrontare prove drammatiche, durissime, spietate, cucendogli addosso la corazza che oggi gli ha permesso di sfidare a duello le superpotenze dell’universo digitale. A sei anni viene abusato da una persona mentalmente instabile. La scuola cerca di nascondere il problema. I genitori, lei medico e lui psichiatra, vivono con apprensione le conseguenze a lungo termine di una simile violenza ed esitano a calcare la mano nelle iniziative legali adottate.
La consapevolezza dell’infanzia distrutta e un rendimento scolastico specchio del risentimento maturato nei confronti dell’istituzione didattica animano la determinazione del bambino che non si vuole arrendere.
All’età di 14 anni Christopher porta in tribunale il ministero dell’Istruzione della British Columbia e vince la causa, scatenando una sorta di tsunami che determina la repentina revisione delle politiche istituzionali di inclusione e di contrasto al bullismo. Gli viene diagnosticata la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e la dislessia. A 16 anni abbandona la scuola e scopre una grande passione per la politica. Appena diciassettenne fa un’esperienza di praticantato al Parlamento canadese e lavora nell’ufficio del leader dell’opposizione.
L’incontro che gli cambia l’esistenza è con Ken Strasma, pioniere dei modelli statistici più sofisticati e dell’analisi predittiva, targeting director delle campagne elettorali di John Kerry nel 2004 e di Barack Obama nel 2008.
Ha lasciato la scuola ma non lo studio, leopardianamente “matto e disperatissimo”. Completa la sua formazione come autodidatta e a vent’anni comincia a seguire i corsi di giurisprudenza alla London School of Economics. Alterna i libri al lavoro per i liberaldemocratici nel Regno Unito che gli danno la possibilità di approfondire in termini pratici e non solo teorici il tema dei database politici e il microtargeting degli elettori.
Le sue competenze strategiche nel contesto politico e nello scenario tecnologico gli permettono di ottenere il Tier 1 (Exceptional Talent), il visto lavorativo britannico che viene riconosciuto soltanto a duecento stranieri ogni anno. Quattro anni fa rinuncia a una ambiziosa posizione in Deloitte, preferendo l’“arruolamento” nel team di Cambridge Analytica dove diventa capo della ricerca. Senza questa sua scelta, la CA non sarebbe mai esistita. Ed è questo uno dei suoi attuali principali crucci.
Wylie, capelli rosa e sguardo ingenuo, ammette che inizialmente non si era reso conto di essersi incamminato sul traballante intreccio di difesa, intelligence, grandi appalti e politica.
È lui stesso a definirsi il vegano gay canadese che in qualche modo ha consentito la realizzazione dello strumento “fotti cervello” (“mindfuck” nell’espressione idiomatica originale) per la guerra psicologica voluta da Steve Bannon per gestire la scalata elettorale di Trump alla presidenza Usa.
Quando ha deciso di vuotare il sacco, Facebook ha sospeso il suo account, bloccando anche quello che Wylie aveva su Instagram. L’azienda di Mark Zuckerberg lo accusa di non aver correttamente impiegato le informazioni raccolte attraverso decine di milioni di utenti della piattaforma social. Come se Facebook non fosse in grado di rilevare l’incredibile voragine che era stata aperta e non avesse idea dove il fiume di dati andasse a finire…
Nel frattempo, dopo Nix e Wylie, sul palcoscenico è il turno di Aleksandr Kogan. Ma come cantava Figaro, “uno alla volta per carità”.
@Umberto_Rapetto