Un’imposta temporanea per tassare i ricavi generati dalla vendita di spazi pubblicitari online, dalla cessione di dati generati da informazioni fornite dagli utenti o da attività di intermediazione digitale tra utenti e aziende. Sono le proposte presentate dalla Commissione Ue in attesa dell’implementazione di una riforma comune delle norme Ue in materia di web tax che consentirebbe agli Stati membri di tassare gli utili generati sul loro territorio anche nel caso in cui una società non vi abbia una presenza fisica. La tassa, per come è congegnata, colpirebbe i grandi gruppi e le piattaforme di intermediazione, da Google a Facebook e Uber. L’Italia come è noto ha introdotto lo scorso anno una web tax nazionale che avrebbe dovuto partire nel 2019, ma non sono ancora stati approvati i decreti attuativi.
L’imposta a livello Ue, precisa Bruxelles, è indiretta, verrà riscossa dagli Stati membri in cui si trovano gli utenti e si applicherà solo alle imprese con ricavi annui complessivi a livello mondiale superiori a 750 milioni di euro e ricavi nell’Ue di almeno 50 milioni. Questo dovrebbe far sì che le start-up e le società più piccole siano esonerate. Secondo le stime, se sarà applicata a un’aliquota del 3%, l’imposta potrà generare entrate per gli Stati membri dell’ordine di 5 miliardi di euro all’anno.
La Commissione aggiunge che la proposta aiuta ad “evitare azioni unilaterali” – vedi quella italiana – che creerebbero un “patchwork di risposte nazionali che danneggerebbe il nostro mercato unico”. Si tratta di uno step intermedio in vista, appunto, di una soluzione a lungo termine che consenta “di tassare i profitti dove sono generati, anche se le aziende non hanno una presenza fisica nel loro territorio”. Bruxelles individua tre criteri per individuare una “presenza digitale tassabile”, sufficiente ad assoggettare le aziende digitali al fisco nazionale. Una società che opera su web diventa equiparabile a una qualunque altra azienda ‘old economy’ se supera i 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno Stato membro, se ha più di 100.000 utenti registrati in uno Stato oppure se ha più di 3000 contratti per servizi digitali ad utenti business.
Questa soluzione, preferita dalla Commissione, potrà un giorno integrarsi alla proposta di creare una base imponibile consolidata comune, ferma da anni al Consiglio.
Il commissario per gli Affari economici, Pierre Moscovici, ha detto che la Commissione punta a “giungere a un accordo entro la fine di quest’anno”. I leader europei ne discuteranno giovedì in occasione del Consiglio europeo di primavera. La web tax, ha aggiunto, “non è una tassa Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple), né anti-Usa, non è una rappresaglia” contro i dazi americani. “È mirata a 120-150 aziende europee, statunitensi, asiatiche, e del resto del mondo, ed è in cantiere da mesi”, ha spiegato il commissario, secondo cui non si può aspettare la soluzione a livello Ocse perché “tutti sanno la lentezza” di quel consesso. “Vogliamo anticipare tutti sul tempo, fare da traino”.