L'Anticorruzione ha scritto all'assemblea regionale chiedendo di rendere pubblici gli atti e i compensi dei dipendenti di Palazzo dei Normanni, dai deputati ai portaborse, dai superdirigenti fino ai dipendenti a tempo determinato. E poi documenti legati agli appalti e agli affidamenti diretti. Il consiglio regionale non ne vuole sapere ma svela per la prima volta l'esatta paga erogata ai gran commiss
L’autorità Anticorruzione chiede piiù trasparenza all’Assemblea regionale siciliana. Dal parlamento dell’isola, però, non sono d’accordo: in Sicilia c’è l’autonomia e i poteri dell’Anac non valgono. È solo l’ultimo atto della guerra in corso tra Palazzo dei Normanni e l’Authority di Raffaele Cantone. Una battaglia a colpi di carta bollata raccontata sull’edizione palermitana di Repubblica da Antonio Fraschilla.
Cantone, infatti, ha scritto all’Ars lamentando la mancata pubblicazione sul sito degli atti e dei compensi dei dipendenti di Palazzo dei Normanni, dai deputati ai portaborse, dai superdirigenti fino ai dipendenti a tempo determinato, cioè quelli dei gruppi. Ma non solo. Il numero uno dell’Anticorruzzione chiede al consiglio regionale dell’isola di rendere pubblici i documenti legati agli appalti e agli affidamenti diretti varati dall’Ars. Sono in pratica le delibere del consiglio di presidenza che Gianfranco Micciché si è rifiutato più volte di rendere pubbliche nonostante siano provvedimenti di spesa di denaro pubblico.
A Palazzo dei Normanni, però, non sono d’accordo. E se da una parte sostengono di “avere già applicato in autonomia le norme sulla trasparenza su moltissimi punti”, dall’altra rivendicano di essere un parlamento “autonomo e non soggetto al controllo dell’Anac”. “L’Ars, pur nella sua autonomia, deve rispettare in toto la legge del 2013 sulla trasparenza in tutte le sue linee guida ed è soggetta al controllo dell’ Anac”, dice invece Cantone.
Nel frattempo, però, almeno qualche concessione il consiglio regionale siciliano l’ha fatta. E per la prima volta ha pubblicato online gli stipendi dei vari superdirigenti, quelli – per intenderci – che nei mesi scorsi erano stati al centro di roventi polemiche quando il presidente Micciché aveva annunciato la rimozione del tetto a 240mila euro (poi reintrodotto ma senza gli extra). Non si tratta di cifre generiche come in passato, ma di stipendi reali con tanto di nomi e cognomi. Il segretario generale Fabrizio Scimè, per esempio, prende il massimo consentito, e cioè 240mila euro come i vice segretari Salvatore Pecoraro e Mario Di Piazza. Arrivano al salary cup anche Riccardo Anselmo, Patrizia Perino, Laura Salamone e Antonio Tomasello mentre il direttore dei servizi delle commissioni, Filippo Palmeri, prende 232mila euro lordi all’anno. La responsabile ufficio stampa e relazioni con il pubblico, Maria Ingarao, 214mila, il direttore del servizio personale, Fabio Scalia, 213mila euro, la responsabile della rendicontazione dei gruppi parlamentari, Angela Murana, 209mila euro.
Ma non basta. Perché Cantone vorrebbe anche altri dati. Per esempio e le informazioni sui “provvedimenti riferiti agli organi di indirizzo politico- dirigenziale” che risultano “carenti e non aggiornate”. Dall’Ars non ne vogliono sapere. E in certi casi non hanno nemmeno i documenti chiesti da Cantone come nel caso della “valutazione delle performance dei dipendenti”. “In ogni caso, noi siamo autonomi e non soggetti al controllo dell’Anac”, dicono sempre da palazzo dei Normanni. “L’ Assemblea regionale è tenuta al rispetto degli obblighi di trasparenza ed è sottoposta alla vigilanza dell’ Autorità nazionale anticorruzione”, scriveva l’8 marzo scorso Cantone. Che ora potrebbe sanzionare i vertici di Palazzo dei Normanni. Dove le regole anticorruzione valide in tutta Italia rimangono fuori dalla porta.