UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA di Sean Baker. Con William Dafoe, Brooklynn Prince, Bria Vinaite. Usa 2017. Durata: 115’. Voto 4/5 (DT)
Moonee, Scooty, Jancey e gli altri. La rumorosa e saltellante comunità di piccoli protagonisti del film è una delle cose più belle dell’annata cinematografica 2017/2018. Un gruppo di monelli che corre, sputa, urla e letteralmente danza sotto il cielo luminoso della Florida. Kissimmee, sobborgo a sud di Orlando che sembra un paese di marzapane. Giallo, azzurro, viola, tutto rifulge di una reale sovrabbondanza di colori e forme pubblicitarie tra supermercati, bar e drugstore. A un tiro di schioppo, poi, c’è l’utopia del Walt Disney World, roba che non è per tutti i bimbi. Visto che i genitori dei protagonisti, soprattutto di Moonee, ovvero la giovane madre single Halley, vivacchiano in uno stato di dolce far niente, davanti alla tv, nella stanza di un motel, nientemeno che il The magic Castle, attendendo dollari in extremis per non essere sfrattati. Film sulla povertà delle periferie dei grandi centri urbani contemporanei, raccontato senza piagnistei o tragedie, ma con un vitale e dissacrante tono comico che fa respirare con brio una storia semplice che sembra definitivamente fondare una nuova categoria di genere: il ballatoio-motel movie. Spazio centripeto dove tutto e tutti ritornano. Viola pantone su muri, colonne, porte che abbracciano l’occhio, e lo sfidano a rielaborare e pensare la miseria dentro al luccicare contrastante del colore e dei raggi di sole. Baker filma la realtà con una naturalezza rara, angolando e abbassando ad altezza testa di bimbo la macchina da presa, prendendosi il tempo di qualche inatteso long take. Bello da fare invidia a tanti compatrioti registi, il film sembra un po’ un Amarcord felliniano nell’anarchia bambinesca della fuga e della libertà, e un po’ Ken Loach modello Ladybird Ladybird nel finale.