Si chiama Nadia Mohammedi, ha 20 anni, è figlia di un’italiana e di un algerino da sempre in Italia, scrive il Corriere della Sera. Lavorava in una gelateria di Milano, ma si è rifiutata di servire Matteo Salvini perché “è uno che semina odio, che gioca col razzismo per fini elettorali”, dice. La capisco perfettamente. Vi spiego perché.
Nadia è una ragazza italiana sulla carta d’identità ma, come chiunque abbia un genitore straniero, è anche un crocevia: è frutto dell’incontro e dell’incrocio tra due culture. Anche se vive in Italia si sente sempre a metà strada, partecipa di entrambe le nature, direbbe chi ha dimestichezza con il linguaggio minimo della filosofia, ma di nessuna delle due completamente: non è al 100% né l’una né l’altra. Una parte di lei si sente sempre in qualche modo diversa.
Video a cura di Gisella Ruccia
Questo sentimento è alimentato quotidianamente dallo stillicidio razzista con cui Salvini foraggia la propria macchina politica e accarezza il ventre dell’elettorato leghista. Nadia è l’esatto esempio di ciò che per Attilio Fontana mette in pericolo la razza bianca: “Non possiamo accettare tutti gli immigrati che arrivano – diceva il 15 gennaio il candidato leghista alla Regione Lombardia, poi eletto governatore – dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o devono essere cancellate”. Ecco, Nadia è il frutto del matrimonio misto da cui secondo Fontana l’Italia deve difendersi per tutelare la purezza dell’italico genoma.
Un insulso appello arrivato al culmine dell’operazione di criminalizzazione dell’immigrazione che Matteo Salvini ha avviato anni or sono e che accomuna la narrazione leghista a quella dei partiti dell’estrema destra: “Invasione“, “sostituzione etnica”, immigrazione programmata”, “pulizia etnica contro i padani” i mantra utilizzati dal leader leghista nella campagna elettorale pluriennale che lo ha portato al 17% a livello nazionale e a essere acclamato da Varese a Reggio Calabria.
Il rifiuto opposto da Nadia a servire il gelato al leader della Lega è la conseguenza naturale di tutto ciò. E’ la risposta fisiologica di chi si sente additato ed escluso. Perché è esattamente con questo tipo di messaggi che si crea esclusione, che si costruiscono le banlieue ideologiche e culturali. Escludendo. Ed è stato attraverso un processo, anche se infinitamente più complesso, di esclusione che a Saint Denis e a Molenbeek sono cresciute generazioni di reietti privati di ogni possibilità di riscatto sociale, che hanno trovato nel jihad l’unico orizzonte in grado di dare un senso alle loro esistenze. E’ accaduto perché sono state escluse, fisicamente, ma anche e soprattutto culturalmente.
A furia di additare e di allontanare, alla fine gli allontanati e gli additati si sentono esclusi e magari trovano pure il modo di rispondere, anche con un gesto di disobbedienza minima come quello di Nadia. E il fatto che il suo papà “è un elettore proprio di Salvini” e la sua mamma “è stata assessore di Forza Italia a Corsico” non conta.
Oggi i più insofferenti sono i giovanissimi, ma ancor di più lo saranno da grandi i bambini figli di immigrati di oggi, se il clima non cambierà. E’ per questo che sorprendono i commenti di eminenti giornalisti cinquantenni altoborghesi che rimproverano la ragazza disobbediente perché non si risponde al razzismo con il razzismo: chissà se in vita loro si sono mai sentiti bersagliati per la loro razza o per le loro origini. A 50 anni viene naturale ragionare sull’opportunità di un gesto, a 20 no. A 20 anni hai il diritto di farti girare le palle se una parte dello schieramento politico fa di te, delle tue origini e di parte della tua famiglia un bersaglio. Il problema del Paese. Il capro espiatorio. E hai il diritto di dirlo.