La metafora nuova è quella del tango e addirittura Beppe Grillo è stato il primo a usarla per spiegare al mondo fuori dai palazzi del potere cosa succede ora. I suoi gli vanno dietro: “Siamo l’ago della bilancia che si muove su due fronti”, commentano a ilfattoquotidiano.it. Che vuol dire oggi accordarsi con la Lega sulle Camere, facendo pressione con il piano b già sul tavolo con il Pd, e domani tenersi aperta la strada a sinistra. Il garante M5s, mentre i giornali rincorrevano i retroscena, l’ha definito come un ballo, dove conta chi tiene il comando fino alla fine. “E’ pericoloso”, ha sentenziato. Ma “si balla in due” e conta solo non far cadere lo sguardo. Il venerdì notte delle trattative ha regalato all’Italia due nuovi presidenti delle Camere e ora, nel weekend più corto dell’anno, il pensiero è già a cosa avverrà domani. Se fosse ad esempio per la faccia di Luigi Di Maio che applaude il grillino Roberto Fico proclamato terza carica dello Stato, ci sarebbero pochi dubbi: ride come un ragazzo, lui che lo sembra così poco, e dispensa abbracci ai suoi vicini che, guarda caso, sono anche i fedelissimi che lo hanno accompagnato in queste ore. I sorrisi sono per la prima vittoria, ma anche, raccontano, per una nuova consapevolezza che si cullano dentro. “La partita è aperta e noi, come abbiamo dimostrato, siamo pienamente in partita”, commenta a ilfattoquotidiano.it una fonte del Movimento. “La nostra forza è quella di poter essere l’ago della bilancia: possiamo andare da una parte o dall’altra a seconda di come preferiamo e dettare le nostre condizioni. Ci muoviamo su due fronti”. L’espressione, neanche a farlo apposta, ricorda quella che Giulio Andreotti usò per parlare degli anni Sessanta dicendo che “usavano la politica dei due forni”, e a seconda dei bisogni usavano quello “di sinistra” e quello di destra. Ora che però dovremmo essere nella Terza Repubblica, il ragionamento è semplicemente che, mentre tutti sono impegnati a dare il Movimento come alleato di governo della Lega, loro hanno in mente uno schema un po’ diverso: “Lo schema è non avere uno schema per potersi muovere liberamente”, continuano dal M5s. Una mossa confermata anche da un’altra fonte, che aggiunge: “Noi a differenza del centrodestra ci siamo dimostrati compatti e questo Sergio Mattarella non potrà ignorarlo”.

I sorrisi del dopo elezione di Fico vogliono dire tante cose. Intanto che hanno rotto il ghiaccio e portato a casa un primo risultato, evitando figuracce. E’ vero che Di Maio ne ha fatta di strada e gli scivoloni del Movimento degli inizi sembrano lontani, ma niente era scontato. Il capo politico M5s, quello dato da tutti come impreparato, ha saputo tenere unita la squadra, circondarsi degli alleati giusti. Almeno in questi momenti. Intorno aveva: i due deputati al secondo mandato Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, il suo bracciodestra Vincenzo Spadafora, ma anche il rappresentante di Rousseau Pietro Dettori e il neo-eletto Stefano Buffagni, uno che nella scorsa legislatura era consigliere regionale in Lombardia e con i leghisti al governo ha imparato da anni a lavorare. Il tango, di cui parla Grillo, è andato avanti per giorni: i 5 stelle hanno fatto decine di mosse e il più possibile lontano dai riflettori per arrivare a ottenere la guida di Montecitorio. Il primo obiettivo era non bruciarsi, restare prudenti ed evitare di perdere la faccia alla prima difficoltà. Quindi ci sono stati due momenti fondamentali: il no all’incontro con Silvio Berlusconi, quando tutto sembrava sull’orlo di saltare, e poi la scelta di Matteo Salvini di sparigliare scaricando il nome voluto dall’ex Cavaliere (il condannato Paolo Romani) e buttandone nella mischia uno nuovo. Voci tra i 5 stelle assicurano che lo strappo del leader del Carroccio fosse stato preannunciato a Di Maio, e comunque i due si sono sentiti per tutta la giornata. “E’ stata lì la nostra forza“, spiegano dal Movimento a ilfatto.it, “far capire a Salvini che se Berlusconi non mollava Romani e loro non trovavano un’alternativa, noi avremmo potuto mettere in piedi un piano b e andare ad accordarci con il Partito democratico“. Lì il tango è andato avanti velocissimo: Berlusconi che si arrabbia, Di Maio che appoggia Salvini e Salvini che dà il via libera al nome M5s per la Camera. Quindi le mediazioni dentro il centrodestra per ricucire lo strappo che sembrava ormai insormontabile, infine la scelta di buttare in pasto alle agenzie il nome di Fraccaro per dare un segno che anche loro, i grillini, erano pronti a mediare. Il leader M5s ha detto che per lui uno pesava quanto l’altro, ma era una mezza verità: Fico, la voce critica e più dialogante verso la sinistra, era la soluzione da sempre considerata come migliore per guidare Montecitorio. Che sia fortuna o abilità, sta di fatto che le cose sono andate come voleva Di Maio. E non è poco. “Mentre tutti ci dicono che siamo già a patti con il Carroccio, noi intanto eleggiamo un nome alla Camera che è molto vicino alla sinistra. E ci teniamo aperto anche quel fronte”, è il ragionamento.

#ColazioniStoriche ?

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L’altro elemento da non sottovalutare è la compattezza dimostrata dal gruppo che, in un momento come questo, aumenta la credibilità. “La rottura avvenuta dentro il centrodestra”, spiega un’altra fonte M5s al fatto.it, “è molto importante per noi in vista dei prossimi movimenti. Sergio Mattarella non potrà non tenerne conto. Dopo che Matteo Salvini aveva incontrato le forze politiche, Silvio Berlusconi è intervenuto dal nulla a mettere veti. Come si potrà affidare l’incarico a una coalizione così inaffidabile?”. In casa del centrodestra hanno dimostrato che anche la più violenta delle rotture può rientrare dopo semplici trattative e mediazioni a porte chiuse, ma sicuramente il Colle considererà anche questa dinamica. E sicuramente i 5 stelle, anche un po’ a sorpresa, hanno dato prova di grande unità. Nessuna voce dissidente all’interno del gruppo (ancora nessuno ha avuto il coraggio), ogni scelta accolta da applausi degni di un plebiscito e i padri nobili (vedi Alessandro Di Battista) pronti a intervenire nel momento del bisogno per appoggiare le scelte più difficili. Ad esempio la decisione di digerire Elisabetta Alberti Casellati, la marescialla di Berlusconi, a Palazzo Madama è stata annunciata e spiegata dallo stesso Di Battista già dalla sera prima, intervenuto appositamente per calmare i più movimentisti. “E’ giusto che il centrodestra esprima una presidenza”, il diktat incontestabile. Ci ha provato uno della vecchia guardia a dire qualcosa fuori dal coro, il senatore Matteo Mantero (“E’ stata dura per me votarla”), ma non ha avuto nessun seguito. “Noi siamo pronti e andiamo avanti così”, concludono dal Movimento. “La partita è aperta e non faremo gli errori degli altri. Ora le energie sono dalla nostra parte”. Il tango è appena iniziato e vincerà chi quelle energie riuscirà a preservarle fino in fondo.

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