Dal Meetup di Napoli alla terza carica dello Stato. Storia di un percorso politico costruito cercando di stare dietro le quinte, ma sognando maggiore spazio. Dalle difficoltà alla guida della commissione Rai passando per il caso Quarto fino alla rottura con Di Maio all'ultima convention 5 stelle a Rimini. Oggi l'abbraccio con il Capo politico che riesce nella strategia di mettere sul seggio più alto mai occupato da un grillino la figura che più incarna l'anima di sinistra. E che dà segnali a sinistra in vista delle trattative per il governo
C’è un giorno in cui è nato Roberto Fico per il Movimento 5 stelle. E non è quando è stato eletto alla Camera nel 2013 o quando ha creato il Meetup di Napoli nel 2005, e nemmeno quando è finito presidente della Vigilanza Rai. E’ il 24 settembre 2016, quando dal palco di Italia 5 stelle a Palermo straccia l’intervento pronto da scaletta e grida, letteralmente, al microfono, che “il “Movimento deve tornare alle origini”. Chi c’era ricorda il sussulto in quel prato infinito che si affacciava sul mare: “Credo in un Movimento senza leader che si dice le cose in faccia”, disse scuotendo anche i più distratti. Fu un dettaglio per le cronache politiche, un terremoto per chi tra i banchetti ci è nato e vedeva, ai tempi, il M5s destreggiarsi malamente tra direttori falliti e una sindaca di Roma appena eletta e già di fronte alle prime sconfitte. Gli attivisti, quell’anima che ha fatto dei grillini ciò che sono ora nel bene e nel male, ce l’hanno ben presente quel discorso mentre ascoltano ora l’altro discorso, quello di insediamento come primo presidente M5s della Camera. L’intervento da Palermo arrivò dopo essere diventato guida della commissione Rai, dopo le difficoltà nel gestire il caso Quarto, ma anche prima di scegliere di rinunciare alle primarie per diventare leader dei 5 stelle, prima di essere identificato come la voce sempre critica e di sinistra, prima di arrivare allo scontro con Di Maio esattamente un anno dopo dal palco di Rimini. “Non posso non pensare al mio percorso personale, quello che mi ha portato fino a qui”, ha detto oggi Fico in piedi davanti ai deputati con l’aria impacciata che lo accompagna da sempre. La fotografia di rito, quella da mettere nella scaletta cronologica del Movimento, è quella scattata in mattinata: Di Maio che lo abbraccia davanti ai parlamentari M5s. E’ il segno di un’intesa ritrovata, dopo che per un pelo Fico non era diventato uno dei tanti Pizzarotti da evitare come un appestato. “Roberto è il Movimento”, ripetono tutti. Anche quelli che vorrebbero che il Movimento fosse altro. La vittoria storica dei 5 stelle è innanzitutto una vittoria della strategia del capo politico M5s da leader: prende una voce non sempre a suo favore e gli dà un ruolo centrale, di garanzia, senza per forza doverselo portare dietro nel gabinetto del potere dove invece terrà i suoi. Ad esempio Riccardo Fraccaro, il fedelissimo la cui candidatura, previo accordo con il centrodestra, è stata fatta bruciare nella notte per non lasciare alibi a Silvio Berlusconi e Matteo Salvini e fingere un passo indietro che di fatto mai c’è stato.
La corsa del ragazzo con i capelli brizzolati e che parla poco, timidezza che spesso sfocia in aria distaccata, è quella di chi predica la forza del dietro le quinte sperando che ci stiano un po’ tutti. Parla alla base, ma soprattutto a sinistra in un momento in cui tenere aperto il dialogo da quella parte è quanto mai fondamentale. Nessuno dimentica ad esempio che, dopo gli sgomberi dei migranti con gli idranti a piazza Indipendenza a Roma, scrisse: “Uno Stato così non mi rappresenta”. Lo stesso Stato che intanto Di Maio difendeva, insieme all’operato della sindaca Raggi e delle forze dell’ordine. Non proprio una sciocchezza.
La storia di Fico inizia da Napoli. Classe 1974, è laureato in Scienze della comunicazione e all’attivo una lunga serie di lavoretti prima di arrivare in Parlamento. Come tutti i 5 stelle delle origini, fonda il Meetup seguendo le parole di Beppe Grillo e non credendo di certo che quello lo avrebbe portato addirittura a diventare la terza carica dello Stato. Oggi ci ridono, al solo pensiero. Perché davvero sembra uno scherzo. Uno dei nodi chiave per Fico è sicuramente il palco di Palermo. Lui era diventato membro del direttorio, quell’organo voluto da Gianroberto Casaleggio e Grillo per sgravare i fondatori dalla gestione delle dinamiche interne. Quell’organo che verrà archiviato proprio dal garante in occasione di Italia 5 stelle a Palermo. E’ lì che la voce di Fico si sente forse per la prima volta più chiara delle altre. “Quando Beppe dice di tornare alle origini dice che le origini sono fondamentali: quelle sono la bussola del M5s ed è così che si diradano le nebbie. Fedeli a noi stessi“, è la dichiarazione che scosse tutti i presenti in Sicilia e i connessi in diretta streaming. Fico avrebbe dovuto parlare della sua attività in Vigilanza Rai e invece fece tutt’altro. Uscì dalla scaletta e parlò di loro, del Movimento. “Credo in un Movimento senza leader, trasparente, orizzontale. Un Movimento che non ha paura di dirsi le cose in faccia. Mai più leader, mai più deleghe”. Fantascienza rispetto a quello che sono diventati ora. Eppure è stato uno dei passaggi fondamentali.
“Fedeli a noi stessi” è anche la frase che Fico si ripete dentro di sé nei mesi che portano all’investitura di Luigi Di Maio, tramite primarie che lui non condividerà mai fino in fondo. E’ come un travaglio lunghissimo, fatto di confronti con gli attivisti e pure con Yvonne De Rosa, la compagna che si porta sempre al fianco. Lei fa la fotografa e nel 2013, lo ricordano in pochi, si candidò per la circoscrizione estero salvo poi decidere di fare un passo indietro proprio per il rapporto con Fico. I mesi che seguono a Palermo sono fondamentali per lui: oscilla tra la voglia di farsi leader dell’ala ortodossa e quella invece di starsene al suo posto, perché così è giusto e non bisogna andare oltre. Il punto è decidere chi candidare come presidente del Consiglio e lui vorrebbe che ci fosse una vera competizione in rete, mentre il nome di Luigi Di Maio è praticamente già scelto a tavolino dai vertici. Seguono settimane di avanti e indietro, silenzi e mugugni: prima dice “correrò alle primarie”, poi si ritira perché la competizione “non è autentica”. Finisce che a Rimini, Italia 5 stelle del settembre scorso, la manifestazione che incorona Di Maio, lui sceglie un altro colpo di scena: cancella il suo intervento dalla scaletta a pochi minuti dall’inizio della kermesse. Si chiude nel silenzio più rumoroso della storia del Movimento e in hotel sta ad aspettare che qualcuno venga a riprenderselo. Sotto la pioggia di una domenica mattina di autunno romagnolo, il giorno in cui si è chiusa la kermesse, le prime pagine erano tutte per gli altri: da una parte Di Maio veniva lanciato nella campagna elettorale, dall’altra Di Battista neo-papà commuoveva tutti con il suo messaggio ai posteri. Insomma Fico se ne tornava con la coda fra le gambe a Roma, quasi destinato a scomparire nella galassia dei Pizzarotti. La storia però va diversamente e lo fa perché Fico è quello di Palermo, quello che difende il Movimento delle origini. Di Maio sceglie di coinvolgerlo, di tenerselo di fianco nelle prime riunioni, di dirgli che se anche ci sono state delle storture andrà meglio. E Fico rimane. Fino a oggi, che sale sul seggio più alto mai ricoperto da uno del Movimento.
Il vero momento di crisi nella carriera di Fico dentro il Movimento però non è stato quando ha sfidato Di Maio o tanto meno Grillo. Piuttosto ha a che vedere con il comune di Quarto in provincia di Napoli. I fatti sono noti: a gennaio 2016 si scopre che uno dei consiglieri della giunta M5s, Giovanni De Robbio, è indagato dalla Dda di Napoli per voto di scambio e tentata estorsione ai danni della prima cittadina grillina Rosa Capuzzo. Lei, sentita dai pm, dice di aver contattato due volte Roberto Fico chiedendogli un intervento. Il deputato negò di aver mai saputo delle minacce e per giorni si discusse sul fatto che quantomeno la situazione era stata sottovalutata. La fine è nota a tutti: sindaca e consigliere sono stati espulsi dal Movimento, e i 5 stelle hanno creduto alla versione del parlamentare. Ma quella è rimasta comunque una ferita aperta per molti mesi.
Per volerle dire proprio tutte le difficoltà, non si può infine non citare l’operato di Fico come presidente della Vigilanza Rai. Per cui, tra le altre cose, ha rinunciato all’indennità (26.712,00 euro l’anno) e all’auto blu. L’elezione al vertice della commissione fu già nel 2013 un grande successo per chi da sempre ha fatto una bandiera del “fuori i partiti dalla Rai”. Ma naturalmente, dalla posizione di minoranza che ricoprivano i 5 stelle nella scorsa legislatura, i margini di movimento si sono rivelati fin da subito molto pochi. Eppure non manca chi, dentro e fuori il M5s, avrebbe voluto che Fico fosse in questo più “movimentista”. Il ricordo più forte risale a settembre 2013, cioè poche settimane dopo l’elezione. Grillo si presenta in viale Mazzini con Fico e fa un autentico blitz davanti alla statua del cavallo simbolo dell’azienda. Il comico, con in mano il volantino intitolato “‘Fuori la politica e le lobby dalla Rai”, fa un comizio per chiedere provvedimenti dopo l’intervista di Enrico Letta a “Che tempo che fa”. I due vennero poi ricevuti da Gubitosi, mentre fuori i parlamentari M5s discutevano per entrare nel palazzo. Fu una protesta che creò molti problemi, a Fico soprattutto che era chiamato a essere una figura più che altro istituzionale. E non è un caso che di scene del genere non se ne sono più viste, anche se non pochi nel Movimento avrebbero voluto prese di posizione più nette. Il solito dilemma tra l’essere di opposizione e istituzionali insieme. Un’impresa ardua quasi quanto quella che lo aspetta ora a Montecitorio. Anche se questa volta rischia di non essere più il presidente dell’opposizione, ma quello della forza di governo e senza più l’alibi dei numeri dovrà far vedere davvero cosa vale.