Non è facile spiegare la crisi politica che sta lacerando la società catalana, per provare a definire il quadro si potrebbe partire dalle reazioni di queste ultime ore.
Felipe González, lo storico premier socialista che nel 1986 portò la Spagna nell’allora Comunità economica europea, qualche giorno fa ha invocato a gran voce prudenza. L’ex premier sperava che il giudice Pablo Llarena, titolare dell’inchiesta sui leader del movimento secessionista, non spiccasse l’ordine di arresto nei confronti di Jordi Turull, esponente del primo partito indipendentista (il PDeCAT), designato alla successione di Carles Puigdemont per la presidenza della Generalitat.
“L’indipendentismo va vinto, non distrutto”, ha sostenuto l’ex leader spagnolo preoccupato dei possibili riflessi di una umiliazione del popolo catalano.
Poche ore dopo il giudice Llarena firmava il decreto di custodia cautelare per Turull e altri quattro protagonisti del referendum del 1 ottobre e della DUI, la dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Nel frattempo Marta Rovira, segretaria generale di Esquerra Republicana – altro partito di punta del secessionismo – era già fuggita in Svizzera per evitare l’arresto e Puigdemont vedeva “rivitalizzare”, nei suoi confronti, un mandato di arresto europeo sospeso lo scorso dicembre. Il provvedimento cautelare ha poi trovato esecuzione nei pressi di un distributore di benzina di una grigia cittadina tedesca, al confine con la Danimarca, dove si è concluso il suo viaggio di ritorno in auto verso Waterloo, dopo aver tenuto una conferenza in Finlandia.
Puigdemont dal primo momento ripeteva di non sentirsi un “huído de la justicia”, un latitante, bensì un prigioniero politico, un esiliato “attivo” che voleva portare nel cuore dell’Europa le idee separatiste denunciando, nel contempo, le spinte autoritarie dello Stato spagnolo. L’ex presidente non aveva remore nell’accostare il pugno duro di Madrid con l’autoritarismo proprio del regime franchista o nel disegnare pericolosi parallelismi tra l’esecutivo di Rajoy e il governo forte di Ankara. Dimenticando però che negli ultimi anni la Turchia ha incassato più di 2800 condanne dalla Corte europea dei diritti umani, mentre l’organo di Strasburgo ha inflitto solo 98 sanzioni alla Spagna (l’Italia è tra gli stati meno virtuosi, il primo nel lasciare ineseguite le sentenze della Corte internazionale). Trascurando, ancora, che la politica indipendentista ha voce nelle istituzioni regionali e nazionali, grande eco negli organi di informazione, il pieno controllo di “TV3”, la televisione pubblica regionale che trasmette solo in lingua catalana.
L’internazionalizzazione del proces ha raccolto pochi frutti, qualche consenso tra i movimenti identitari fiamminghi o nelle ultime ore tra gli indipendentisti scozzesi, Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese e leader dello Scottish national party, ha criticato gli imprigionamenti e le istituzioni spagnole. Posizione assunta in seguito alla richiesta di arresto di Clara Ponsatí, ex membro del governo della Generalitat, anch’essa in fuga verso Edimburgo.
L’internazionalizzazione della causa indipendentista si è fin qui materializzata solo nelle procure di diversi paesi europei, la Gran Bretagna, la Svizzera dove sono rifugiate Rovira e Anna Gabriel (esponente di spicco della CUP, formazione radicale separatista e anticapitalista), prim’ancora il Belgio per Puigdemont e la Germania ora con il fermo dell’ex presidente.
La questione catalana in Europa è rimasta materia di studio per giuristi, non ha aperto una sola breccia nelle cancellerie politiche. “Europe, shame of you” (vergogna Europa) si legge su uno striscione che campeggia su un balcone di una strada centrale di Barcellona, i catalani, notoriamente europeisti, si aspettavano tutt’altro che un voltafaccia dalla UE. La propaganda separatista aveva creato grandi attese sulle pressioni che Bruxelles avrebbe senz’altro saputo esercitare sul governo di Madrid per un riconoscimento pieno delle aspirazioni separatiste.
Rimane invece solo lo stallo istituzionale, il forte rallentamento dell’economia, una tensione sociale crescente in tutto il paese.
La musica giusta per le orecchie degli indipendentisti radicali baschi, i quali attraverso la “via catalana” provano a rilanciare loro antiche rivendicazioni, Arnaldo Otegi, coordinatore di EH Bildu, il partito separatista basco erede di Herri Batasuna, ha dichiarato in un tweet che lo Stato centrale sta lanciando il messaggio che “la repubblica catalana, galiziano o basca non saranno possibili per via pacifica e democratica”.
Intanto il Consiglio del potere giudiziario (equivalenete al nostro CSM) ha chiesto protezione per il giudice dell’Alta Corte Pablo Llarena, scritte che tacciano il magistrato di “feixista” (fascista, in catalano) sono apparse nei pressi della sua abitazione, nella cittadina di Das, in quella provincia di Girona dove più forte spira il vento separatista.
E da giorni le pale degli elicotteri della polizia squarciano incessantemente il cielo di Barcellona.