Fra copie digitali farlocche, giornali al macero e ricavi gonfiati, il feuilleton del Sole24Ore si arricchisce di un nuovo episodio. La casa editrice di Confindustria ha accettato un risarcimento da oltre 2,9 milioni da parte della Di Source, azienda britannica incaricata di gestire gli abbonamenti digitali all’estero fra il 2013 e il 2016 durante la gestione del presidente Benito Benedini e dell’ad Donatella Treu. “L’offerta risarcitoria di euro 2.961.079,90 è esattamente corrispondente all’importo del danno patrimoniale come ipotizzato nell’ambito del procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica di Milano” precisa una stringata nota dell’editrice che “si riserva di esperire, in ogni sede competente, nei confronti di altri soggetti, siano essi già individuati ovvero ancora da individuare in relazione all’intero credito risarcitorio”.
Con questo accordo, il gruppo Sole24Ore ha chiuso il doloroso capitolo degli oltre 109mila abbonamenti digitali fantasma che, secondo la Procura di Milano, erano stati creati ad hoc al solo scopo di abbellire i conti 2015 dell’editrice. Di qui il motivo per cui, a marzo 2017, i magistrati Fabio De Pasquale e Gaetano Ruta avevano indagato per appropriazione indebita l’ex direttore dell’area digitale, Stefano Quintarelli, ex deputato di Scelta Civica, suo fratello Giovanni Quintarelli, il commercialista Stefano Poretti, Massimo Arioli (ex direttore finanziario del gruppo), Alberti Biella (ex direttore dell’area vendite) e Filippo Beltramini (direttore della società inglese Fleet Street News Ltd). Nel dettaglio, secondo la ricostruzione della procura, Quintarelli, Arioli e Biella sarebbero stati i “soci occulti” della Di Source e si sarebbero appropriati di circa “3 milioni di euro” in tre anni, tra il 2013 e il 2015, danneggiando le casse del gruppo editoriale confindustriale. Sempre secondo la procura, il fratello di Quintarelli, Poretti, Beltramini e una quarta persona, si poi sarebbero spartiti la cifra contestata dai magistrati e oggi restituita al Sole24Ore dalla Di Source.
L’indiretta ammissione di colpa della Di Source e la proposta di risarcimento del danno accettata dalla casa editrice di Confindustria cambiano però oggi completamente le carte in tavola. E, alla luce dell’intesa fra le due aziende, anche la Di Source, controllata dalla Jordans Trust Company Ltd (UK), potrebbe continuare a mantenere il segreto sui nomi dei soci dietro al trust noto alle cronache per essere stato utilizzato dal calciatore Lionel Messi dopo il 2006 in un’operazione di presunta evasione fiscale.
Intanto, a latere dell’intricata vicenda giudiziaria, l’amministratore delegato Franco Moscetti sta tentando di sistemare i conti dell’editrice. Operazione non facile visti i tempi duri per la stampa. Grazie alla ricapitalizzazione e alla cessione della divisione formazione, nel 2017 la posizione finanziaria netta del gruppo è tornata positiva per 6,6 milioni e l’azienda ha chiuso l’anno in utile per 7,5 milioni. Tuttavia la redditività, al netto di proventi e oneri non ricorrenti, è rimasta negativa (-8,6 milioni) e i ricavi sono risultati in decisa contrazione (-13,5% su base annua). Non a caso, recentemente, sono tornate a circolare indiscrezioni sulla possibile cessione dell’agenzia di stampa Radiocor cui sarebbe interessata l’Agi. “Tutte illazioni che non hanno senso” ha smentito Moscetti che rischia però ben presto di dover fare i conti con gli scarsi mezzi offerti dagli industriali per risanare la casa editrice.