di Paolo Bagnoli
È veramente difficile comprendere come possa evolvere il quadro politico dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento.
Fermi restando i successi di Movimento 5 stelle e Lega, la verità è che hanno perso tutte le formazioni in competizione. Non solo il Partito democratico che, almeno alle apparenze, si è sdegnosamente e orgogliosamente ritirato in una specie di Aventino: quasi una legge del contrappasso per chi aspirava a essere, addirittura, “il partito della nazione”.
Quanta e quale sia, in questi giorni, la diplomazia più o meno clandestina, si può immaginare. Alla fine tutti dichiarano di aspettare il presidente della Repubblica che sicuramente sarà in attivo (democristiano) movimento per vedere quale possa essere una soluzione possibile e, in qualche misura, sufficientemente credibile.
I due vincitori rivendicano la guida del governo ma nessuno dei due esprime una capacità di soggetto coalizionale e, a nostro parere, i 5 stelle scontano la rivendicazione della loro diversità – una vera e propria estraneità rispetto a tutti gli altri –la quale, benché ammorbidita dalle banalità di Luigi Di Maio, persiste e salta fuori appena possibile. Ma può essere una giustificazione seria richiedere la presidenza della Camera perché si vogliono abolire i vitalizi? La cosa si commenta da sola!
Matteo Salvini potrebbe benissimo staccarsi dai suoi compagni di coalizione e fare un governo coi grillini; tuttavia, mentre muovendosi con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni i suoi voti pesano di più e con essi il suo ruolo, andando per conto proprio risalterebbe subito come i voti della Lega siano la metà di quelli del 5 stelle.
Cosa poi bolla nella pentola del Pd non si capisce. La sconfitta è stata di quelle cocenti e occorreva essere ciechi per non vedere come essa fosse nell’aria, ma ciò non giustifica il trinceramento dietro la dichiarazione che gli italiani lo hanno mandato all’opposizione.
Se pur dall’opposizione una forza politica ha il dovere di proporre qualcosa, tanto più se vi sono difficoltà di colloquio tra gli altri due soggetti; insomma, un partito deve avere, qualunque sia il suo stato, una proposta politica. La fallita formazione di Pietro Grasso la sua l’ha avanzata, se pur riguardante solo se stessa: appena derenzizzato il Pd, i Liberi e Uguali sono pronti a rientrare, se abbiamo capito bene le ultime dichiarazioni di Roberto Speranza.
Invece di bearsi all’opposizione il Pd potrebbe buttare sul tavolo una proposta alta e pure coraggiosa; ossia, considerata la situazione di emergenza nella quale ci troviamo, si faccia un governo sostenuto da tutti, presieduto da una personalità fuori dai giochi di ognuno, garantito dalla Presidenza della Repubblica, con un programma preciso; la sua durata si determinerebbe da sola.
In tal modo il Pd non rinnegherebbe il ruolo di forza di opposizione ma rientrerebbe nel giuoco politico gettando lo scompiglio negli altri e pure (pensiamo) ricompattando se stesso nell’attesa del congresso annunciato che rischia di risucchiarlo in una lacerazione senza limiti. Se rimane alla finestra può trovarsi, in breve tempo, a nuove elezioni che ne peggiorerebbero le condizioni lasciandolo senza potenziali interlocutori considerato che Forza Italia sembra aver intrapreso il cammino di una discesa difficilmente recuperabile.
Questa la tragica realtà dell’oggi che segna un ulteriore sgretolamento di un sistema senza politica e senza partiti veri.
Quanto continua a sorprendere è che nessuno – ma proprio nessuno – né tra gli addetti ai lavori né tra i maitres à penser, venga nemmeno sfiorato il problema di fondo: cosa bisogna fare per ricostruire la democrazia italiana? Nessuno se ne occupa, la questione non incontra attenzione alcuna: i risultati si vedono.
Alla fine pure le lamentazioni hanno senso e, pericolosamente, torna fuori il tema della riforma della Costituzione che ha avanzato Dario Franceschini. La proposta è caduta nel vuoto, ma si tratta di un silenzio intrigante. Siamo convinti che il referendum del dicembre 2016 non abbia archiviato il problema e che ci si stia pensando più di quanto non traspaia, riversando ancora una volta sulla Costituzione le colpe della politica e di una classe politica inadeguata. Naturalmente le conseguenze sarebbero a grave detrimento della Repubblica e della politica democratica che le è strettamente connessa.
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