C’è stata l’acclamazione, ma la parola rimanda subito all’assemblea dei parlamentari che portò in trionfo il nome di Romano Prodi come candidato alla presidenza della Repubblica. Ma alla fine il Pd ha individuato i suoi capigruppo senza spaccarsi, almeno pubblicamente: alla Camera guiderà il raggruppamento (il terzo dopo M5s e Lega) il ministro uscente Graziano Delrio, braccio destro di Matteo Renzi fin dall’inizio alla scalata del partito nella “squadra dei sindaci” e però abbastanza forte da dimostrarsi indipendente dalle logiche di corrente; al Senato, invece, il gruppo del Pd (quarto dopo M5s, Fi e Lega) sarà Andrea Marcucci, fedelissimo dell’ex segretario, primatista di dichiarazioni a ogni ora in suo sostegno. Tutte le dichiarazioni appaiono più sospiri di sollievo che non esplosioni di euforia. E’ un “segnale di squadra”, rimarca il reggente del partito, Maurizio Martina, per “costruire il rilancio del Pd”, accelera un po’. “Una soluzione autorevole e prestigiosa” commenta Andrea Orlando, limitandosi però al solo Delrio. “Delrio è una figura che unisce, non spacca e garantisce equilibrio” conferma Dario Franceschini.
Ho appena accettato l’incarico di presidente del gruppo parlamentare Pd al Senato. Sará una faticaccia, ma con la passione ed il contributo di tutti voi, posso farcela. Dall’opposizione, ricostruiremo un Pd forte ed unito.
— Andrea Marcucci (@AndreaMarcucci) 27 marzo 2018
Di sicuro si possono già dire alcune cose. Innanzitutto, a conti fatti, Matteo Renzi – forte di 32 senatori su 54 e una settantina di deputati su 111 – è uscito tutt’altro che sconfitto da questo passaggio che ha il suo significato anche per i rapporti con gli altri gruppi parlamentari, soprattutto nelle prossime settimane di consultazioni. Un’ultima prova di forza per l’ex leader, forse di resistenza: di fatto la dimostrazione che non si fa niente senza passare da lui. E’ verosimile che la differenza di personalità delle due figure elette a Montecitorio e a Palazzo Madama – più dialogante Delrio, “duro e puro” Marcucci – ha a che vedere anche con i numeri: i renziani al Senato sono più forti e hanno potuto “forzare” puntando sull’eventuale conta finale; alla Camera la scelta del ministro serve a tenere insieme i vari pezzi del gruppo senza strappi. Come si vede, sono tutte scelte più a tutela del partito – che ancora è frastornato dalla inaudita sconfitta elettorale – che non strategiche, con un’idea chiara del futuro prossimo. Se non l’opposizione, appunto, com’è stato ripetuto tante volte.
Anche gli altri partiti hanno eletto i propri capigruppo. Il M5s ha eletto anche formalmente Giulia Grillo alla Camera e Danilo Toninelli al Senato, come da prima indicazione avvenuta giorni fa. La svolta più “radicale” appare così quella di Forza Italia che come annunciato ha eletto come propri capigruppo due ex ministre: Mariastella Gelmini alla Camera e Anna Maria Bernini al Senato. Per la Lega, invece, lo stesso ruolo sarà ricoperto da Giancarlo Giorgetti, vicesegretario del Carroccio. Al Senato è riconfermato il capogruppo della legislatura precedente, Gianmarco Centinaio. Fratelli d’Italia saranno guidati da Fabio Rampelli alla Camera (anche lui uscente) e Stefano Bertacco al Senato, che nella scorsa legislatura era subentrato al posto di Elisabetta Alberti Casellati, all’epoca eletta componente laico del Csm. Nel centrodestra ora la partita principale sarà capire se le delegazioni al Quirinale per le consultazioni saranno unite o separate. “Ne dobbiamo parlare, vedremo nei prossimi giorni”, la butta in corner la Gelmini.
Infine i gruppi misti di entrambe le Camere. Al Senato è confermata, come nella scorsa legislatura, Loredana De Petris – rieletta con Liberi e Uguali, che conta altri 3 senatori -, mentre i suoi vice saranno Riccardo Nencini (Psi, eletto nella coalizione di centrosinistra) e Maurizio Buccarella, eletto con il M5s ma già da espulso per via della questione dei rimborsi. Anche alla Camera il capogruppo del Misto sarà di Liberi e Uguali: è l’ex senatore di Mdp Federico Fornaro. Il suo compito sarà più delicato perché i componenti del Misto a Montecitorio sono 36: 14 di Liberi e Uguali, 5 ex M5s (cioè eletti ed espulsi), 4 di Noi con l’Italia (che contrariamente al Senato non è stata inglobata in Forza Italia), 4 delle Minoranze linguistiche, 3 di +Europa, 2 ciascuno di Insieme e di Civica Popolare ed uno rispettivamente del Movimento degli italiani all’estero e Unione Sudamericana Emigrati Italiani, entrambi eletti ovviamente all’estero.