La vicenda della vendita di Alitalia è come il gioco dell’oca. Si torna sempre al punto di partenza.
Il giorno dopo le dimissioni di Paolo Gentiloni il commissario straordinario di Alitalia, Luigi Gubitosi, fa sapere che non c’è nessun acquirente all’orizzonte della scadenza del 30 aprile. Quello che noi sospettavamo – “adda passà a nuttata” per rimanere al timone di un’Alitalia – è puntualmente accaduto. Il terzo tentativo di vendita si è arenato e ha dato luogo ad una improbabile rianimazione da parte della troika commissariale. Matteo Renzi, Carlo Calenda, Graziano Delrio e Gentiloni hanno evitato – surrettiziamente – la vendita di Alitalia, chiesta a gran voce dai contribuenti italiani e dai consumatori che non possono permettersi di volare con la livrea tricolore. Ora lo faranno alla luce del sole Luigi Di Maio e Matteo Salvini che hanno già fatto sapere di essere contrari alla vendita.
Dunque Alitalia rimarrà in mano pubblica. Lo Stato si accollerà nuovi, enormi costi pubblici.
Viene così smascherato il giochino di Luigi Gubitosi del tira e molla delle offerte (Lufthansa, Air France, Cerberus, Easyjet e altri): traccheggiare fino alle elezioni grazie ai tentennamenti del Governo (spezzatino sì, spezzatino no). Da notare che oltre ad essere commissario straordinario di Alitalia, il manager Gubitosi è consigliere di amministrazione del fondo americano Elliott (privato), fondo che rappresenta la finanza più aggressiva che, in questi giorni, ha messo gli occhi su due ex aziende pubbliche Ansaldo Breda e Telecom. Il manager è inoltre anche commissario di nomina governativa (pubblica) per la cessione di Alitalia.
In un mercato che cresce come quello del trasporto aereo – e dati i margini di sviluppo che assicura il sistema Italia (turismo, imprese) – c’è da chiedersi che senso abbia tenere ancora in vita artificiale Alitalia e non metterla invece (una volta per tutte) in vendita. I pastrocchi dei capitani coraggiosi e di Ethiad, salutati come decisivi e risolutivi, si sono rivelati un danno non solo per le casse pubbliche, che hanno sostenuto i nuovi assetti societari fallimentari di Alitalia, ma anche per i nostri scali aeroportuali che hanno dovuto sottostare ai ricatti delle low cost con sussidi spesso elargiti in modo mascherato, in primis a Ryanair (co-marketing), per garantire la domanda di trasporto aereo su tutta la Penisola.