Stabilire – come ha appena fatto il presidente francese Emmanuel Macron in Francia – che i bambini vadano a scuola dai tre anni in poi può sembrare una scelta poco rivoluzionaria. Dalla percezione che abbiamo, a tre anni tutti i bambini vanno alla scuola ancora chiamata, erroneamente, “materna” (mentre si chiama più correttamente “scuola dell’infanzia”). Si tratta però di una percezione non del tutto corretta: non solo perché purtroppo esistono anche zone d’Italia, specie al Sud, dove ci sono ancora bambini che restano a casa, non si sa bene a far cosa (probabilmente guarda tv e iPad), e dove si è ancora convinti che così sia meglio per loro. Ma perché – e questo è il primo problema – non essendo obbligatoria le scuole possono permettersi tranquillamente di rifiutare i bambini. E sono tantissime le madri  che conosco – e parlo di Roma, la capitale d’Italia – che sono rimaste senza scuola dell’infanzia (mica il nido!) e sono state costrette magari a iscrivere il figlio chissà dove per scongiurare il rischio di trovarsi un bambino di tre anni a casa. Se ci fosse una legge lo Stato avrebbe l’obbligo di coprire tutti i posti, cosa che oggi non accade. Per lo Stato un bambino può restare a casa fino ai sei anni, qualcosa di veramente allucinante.

Ma non è solo per questo che la scelta di Macron è molto importante: inserire la scuola d’infanzia come scuola dell’obbligo significa anche ripensare la didattica che si fa negli asili, in funzione di un intero ciclo di studi. Questo significa che ogni scuola sarà obbligata a seguire un programma, non a fare quello che gli passa per la testa, magari privilegiando i soliti disegni o lavoretti o lasciando alle maestre il compito di immaginare come passare il tempo. In altre parole, la scuola dell’infanzia smette di essere pensata come un parcheggio, anche dai genitori, e acquisisce un’importanza fondamentale proprio come le elementari o il liceo, ed è giusto che sia così visto che i primi anni sono anni assolutamente fondamentali per l’apprendimento (ancor di più quelli 0-3, veramente).

Talmente banale e giusta è questa decisione che mi sembra paradossale avere trovato sui giornali di oggi alcuni articoli – vedi Massimiliano Parente sul Giornale – inneggianti alla bellezza della noia e del non far niente e a quanto sia fondamentale che i bambini restino a casa con chi li ha messi al mondo, cioè le madri. Una posizione di un’ignoranza abissale, sia perché l’esaltazione dei bei tempi passati quando i bambini giocavano per i cortili valeva, appunto, in una società completamente diversa e dove soprattutto le famiglie avevano tanti figli, non certo oggi dove il figlio unico ha un disperato bisogno di socialità. Sia perché in nessuna considerazione vengono prese le madri, che difficilmente potranno lavorare con un bambino a casa, ma oggi non possono fare altrimenti (anche perché, tra le altre cose, è pure cambiata la normativa sul divorzio e in senso peggiorativo per le donne, tanto per dirne una).

Non c’è dubbio che la vera rivoluzione sarebbe, a mio avviso, rendere scuola dell’obbligo la fascia ancora precedente, 1-3 o almeno 2-3. Se ci fosse una norma del genere, questo significherebbe che lo Stato, e cioè i comuni, sarebbero costretti a dover fornire quei servizi che oggi non danno, specie al centro-sud, o che forniscono a prezzi troppo elevati (e cioè al nord). Non solo. Rendere obbligatorio il nido consentirebbe alle donne di non interrompere il lavoro, evitando tante tragedie assurde (tutte noi sappiamo che il momento più delicato risiede proprio nei primissimi anni di vita), mentre permetterebbe ai bambini, quasi sempre figli unici appunto, di accedere a una forma di comunità e a una socializzazione precoce fondamentale, anche ai fini di un apprendimento linguistico più ricco e vivace. Rendere obbligatorio il nido, insomma, spingerebbe molte più uomini e donne a mettere al mondo dei figli, certi di non essere abbandonati nella fase più difficile per la conciliazione tra famiglia e lavoro.

Veniamo ora a cosa è successo in Italia su questo fronte in questi ultimi anni. Ricordate l’annuncio roboante di Renzi, per cui sarebbe diventata obbligatoria la scuola da 0 a 6 anni? La dichiarazione si basava in realtà sulla proposta di legge della senatrice Francesca Puglisi, con propositi ambiziosi: 33% di copertura della popolazione sotto i 3 anni di età, 75% dei Comuni con nidi, università per le insegnanti, coordinamento tra nidi e scuole dell’infanzia, riduzione delle rette. Cosa è successo invece? Che la copertura dei nidi ha continuato ad attestarsi su cifre ridicole, che ci sono interi comuni senza neanche una struttura (!), che non c’è coordinamento didattico tra nidi e scuola di infanzia, che le rette sono rimaste salatissime lo stesso. In tutto ciò, la scuola dell’infanzia, cioè quella da 3-6, continua a non essere obbligatoria, col bel risultato di lasciare ancora molti bambini fuori.

Insomma, come al solito si è annunciata una grandissima riforma, creando giuste speranze nei genitori, e non si è fatto praticamente quasi nulla. Anche per scarsità dei fondi, certo, oltre che di tempo. Ma non sarebbe stato meglio allora limitarsi, come ha fatto Macron in Francia (dove comunque i nidi funzionano meglio e ci sono abbondanti sussidi per chi mette al mondo un figlio) a puntare sulla scuola dell’infanzia, rendendola intanto obbligatoria e permettendo un coordinamento didattico con le elementari? Sì, sarebbe stato meglio. Invece così non abbiamo né l’una né l’altra cosa. E se ne accorgeranno presto le mamme che proprio in questo periodo devono fare domanda di iscrizione alla scuola dell’infanzia per i loro bambini. Il loro sconcerto e i loro pianti, nel caso di un rifiuto, resteranno nell’ombra. E toccherà a loro inventarsi, come sempre, una soluzione.

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