Le opinioni non dovrebbero mai venire incarcerate. Ce lo ricordano plasticamente questi giorni, nei quali tutto il mondo celebra la storia di un uomo che fu crocefisso a causa delle idee che propagandava. Le opinioni non dovrebbero mai essere represse con lo strumento penale. Ogni potere costituito dovrebbe essere sufficientemente forte da combatterle, quando siano da combattersi, con le armi della cultura, dell’informazione, del dialogo, della lotta politica.
Carles Puigdemont si trova in un carcere tedesco dal 25 marzo scorso. Otto componenti dell’ex governo catalano sono in galera da novembre, pochi giorni dopo la dichiarazione unilaterale dell’indipendenza della Catalogna. Rischiano tre decenni di carcere per ribellione, sedizione e altre accuse legate al referendum dello scorso primo ottobre.
È una follia che questo possa accadere. Alla dialettica politica e al democratico scontro tra le parti dovrebbe essere affidata la questione catalana, così come tutto ciò che riguarda i cosiddetti reati di opinione. Che a tutto questo si possa sostituire il carcere denota un utilizzo colpevolmente distorto dello strumento penale. Le opinioni vanno sconfitte con le opinioni, le posizioni politiche con le posizioni politiche. Affidarsi al codice penale e al carcere è segno di debolezza. Sempre. Lo è in Spagna come in Turchia, negli Usa come in Italia.
Anche in Italia ogni tanto c’è qualcuno che rispolvera le vecchie categorie dei delitti di opinione per provare a incarcerare i dissenzienti. Erri De Luca nel suo La parola contraria racconta in modo autobiografico l’odissea subita per avere espresso parole contro chi voleva la Tav a tutti i costi. Alcuni giudici volevano addirittura che andasse in prigione per questo. Altri giudici, molti anni prima, si erano inventati teoremi giudiziari contro chi aveva espresso la parola contraria negli anni 70 italiani. Ancora, sono state rispolverate le norme del codice Rocco fascista contro i secessionisti padani.
Le opinioni politiche non vanno mai giudicate da un pubblico ministero. Chi le esprime non va mai messo dietro le sbarre. La democrazia costituzionale deve avere dentro di sé ben altri anticorpi per rendersi immune da chi vi si contrappone. La risposta carceraria è una liturgia non democratica. È una follia che Puigdemont, Junqueras e gli altri vedano questa Pasqua da dentro una cella.