NELLE PIEGHE DEL TEMPO di Ava DuVernay. Con Oprah Winfrey, Reese Witherspoon, Mindy Kaling. Usa 2018. Durata: 109’. Voto 2/5 (DT)
La piccola Meg e il fratellino, bimbo prodigio, Charles Wallace, sono rimasti da 5 anni senza padre. Ovvero lo scienziato Mr. Murry che avrebbe scoperto un nuovo pianeta e grazie al nuovo concetto del “tessering” ci sarebbe finito a vivere. Assieme al compagno di classe Calvin e a tre misteriose viaggiatrici astrali che paiono delle luccicanti e paillettate streghe – la signora Wahtisit, la signora Who e la signora Which – Meg e Charles provano a raggiungere il padre attraversando l’oscuro e malefico pianeta Camezotz. Svolazzo pindarico fantasy diretto dalla regista di Selma, con una trimurti di streghine eccentriche (a noi Oprah Winfrey fa sorridere, ma un newyorchese in pieno delirio presidenziale la si osserva con ammirazione anche vestita così), dialoghi marmorei e insapori, risvegli animati di fiori, prati e cieli che incantano ma gridano vendetta per la mancanza di un senso ultimo che non sia puro e semplice intrattenimento. Messa in questi termini anche le virtù tecniche CGI non fanno nemmeno più la differenza da un qualsiasi Harry Potter o Signore degli anelli. Primo film da oltre 100 milioni di dollari diretto da una donna, perlopiù afroamericana. Ma è come se alla regia ci fosse un robot qualunque. Amore, coraggio e autodeterminazione veleggiano sì come elemento valoriale dell’infanzia nel film, ma in mezzo a tutto questo bailamme di vivacità cromatica e preponderanza tecnologico-digitale chi li ha emotivamente sentiti?