Quando il 24 luglio 2017 il Tribunale di Genova condannò Umberto Bossi e l'ex tesoriere Francesco Belsito, il Tribunale decise anche la confisca di 48 milioni di euro al partito. Un verdetto che ha dato vita un braccio di ferro tra inquirenti e Carroccio e ha generato, dopo un esposto, un'inchiesta per riciclaggio
Quando il 24 luglio 2017 il Tribunale di Genova condannò Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito, il Tribunale decise anche la confisca di 48 milioni di euro della Lega. Un verdetto che ha dato vita un braccio di ferro tra inquirenti e Carroccio. La procura ha poi sequestrato due milioni di euro dai depositi di Bossi, Belsito e di 3 ex revisori contabili i conti dopo che il Tribunale del Riesame aveva bocciato il ricorso dei pm contro lo stop deciso dal Tribunale del sequestro dei soldi (altri due milioni). Una storia con una coda velenosa perché uno dei revisori condannati, Stefano Aldovisi, ha presentato un esposto in Procura sostenendo che le gestioni di Maroni e Salvini abbiano utilizzato volontariamente e in parte occultato alcuni milioni dalla provenienza indebita con la conseguente apertura di un’inchiesta per riciclaggio.
Oggi l’Espresso in una anticipazione chiede in una inchiesta dov’è sia finito il tesoro della Lega e dove sono i 48 milioni di euro che il tribunale di Genova vorrebbe mettere sotto sequestro. Alcuni documenti bancari – secondo quanto riporta il settimanale nell’articolo dal titolo I conti segreti di Salvini – “aiutano a comprendere meglio che fine ha fatto la ricchezza leghista. Facendo emergere un fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente. Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro l’Europa serva di banche e multinazionali ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali”.
“In questa trama finanziaria – sostiene l’Espresso – si ritaglia un ruolo anche un’associazione finora sconosciuta. Si chiama Più voci. Una onlus come tante, ma di area leghista. Con una particolarità: è usata dalla Lega per ricevere finanziamenti dalle aziende, denari girati subito dopo a società controllate dal partito. L’associazione – secondo quanto anticipa il settimanale – è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a Salvini nell’ottobre del 2015, nel pieno del processo per truffa contro Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito. Non ha un sito web, né sembra attiva nel dibattito pubblico. Di certo, però, su quel conto corrente hanno lasciato traccia lauti bonifici. Chi ha finanziato la sconosciuta Più voci?”. L’Espresso pubblicherà i nomi delle aziende e degli imprenditori che hanno offerto il loro contributo alla Lega. Alle domande de L’Espresso, il partito guidato da Salvini “ha preferito non rispondere. Ha commentato, invece, chi ha versato parte dei contributi sul conto della onlus”, fa sapere il settimanale. Il Carroccio dopo la pubblicazione dell’anticipazione ha annunciato querela contro il settimanale.