Società

Pasqua in Sicilia, viaggiare in pullman è come assaggiare un’anguria

di Giusy Cinquemani

Per motivi personali, faccio spesso la spola tra la Campania e la Sicilia. Una volta sbarcata a Catania, arrivare nell’entroterra agrigentino mi costringe a due ore e passa di pullman e la partecipazione al gruppo casuale dei suoi viaggiatori, costituito da emigranti a vario titolo, giovani fuori sede e anziani che vanno a trovare figli e nipoti fuori provincia. Giovani e non comunque tutti spesso caciaroni digitali.

Quel viaggio in pullman è per me uno spaccato nel tessuto umano mobile dell’Isola, o meglio “na casedda”, come quelle che d’estate gli ambulanti incidono nelle angurie per vederne il colore e assaggiarne il sapore.

Oggi è venerdì santo e in Sicilia è già festa da ieri sera. Oggi viaggiano solo quelli che vengono da posti dove il venerdì santo festa non è, o non tanto, o non più. Infatti il pullman è quasi vuoto.

Due operai edili di due paesi dell’entroterra che tornano a casa per Pasqua s’incontrano per caso da quando hanno lavorato su un cantiere in Spagna. Forse più di vent’anni prima. Adesso uno sta al Nord, l’altro in Polonia. Si aggiornano sugli amici comuni, operai come loro. Sembra si chiamino tutti Peppe.

“E Peppi? Comu minchia si chiamava? Peppi chiddu russu”
“Peppi C.!” “Ah, veru è!”

Il primo che ricordano, il Peppe più simpatico, quello che “mannava li cosi di babbiari, darridiri” su Whatsapp, non lo sentono da un pezzo, pare stia molto male, dicono che quasi non si riconosce più.

E l’altro Peppe? “Chiddu senza denti?” Lavora da anni in ferrovia.

Tutti hanno girato i cantieri di mezza Europa, la Polonia, la Romania, la Svizzera, la Francia, “ci nnè travagliu” in Francia, eccome! E poi pure l’Africa del nord, l’Egitto, l’Algeria e anche Israele. Se vai fuori è meglio, hai lo stipendio italiano, 50 euro al giorno, a casa sei volte l’anno, qualche volta hai vitto e alloggio, qualche volta no, qualche volta ti devi pagare i contributi tu. Contratti a mesi, spesso ad anno, talvolta a tempo indeterminato. Oramai a tempo indeterminato.

A un altro Peppe è morto un figlio, e lì si è perso. Si è lasciato con la moglie, è sballato proprio. Un altro è arrivato alla pensione, si è trasferito in Perù, con una peruviana che lo aveva sistemato, ripulito, “stava proprio bellu”. Uno si era sposato con una del posto, hanno fatto una figlia, ma poi si sono separati. “La minchiata chista è!”

Mandano un messaggio al Peppe ammalato. È online.
“Ah, Pè! Comu stai?”
Peppe questa volta risponde. Dice che ha una macchia al fegato. Sta facendo la chemio. Chiede come stanno loro.
“Ah comu staiu io? Bbonu staiu io. A ttia, mi raccumannu, auguri di una pronta guarigione e di na bbona Pasqua da parti mia e di tó cumpari Peppi”.
Sospirano. Accussi è.
Poi una telefonata alle mogli: “Mangiate, mangiate. Non mi aspettate. Arrivo tardi. Sto sul pullman. Arrivavu precisu a Catania. Tutto a posto. Mangiate. Non vi preoccupate. Io mangio quando arrivo”.

L’anguria questa volta è buona.

Buona Pasqua a tutti i Peppe operai che tornano a casa.

@GiuCinque