Cultura

Girolamo Li Causi, il comunista che “inventò” l’antimafia. E andò a parlare nella piazza del boss (che gli fece sparare)

È una figura fondamentale della sinistra italiana quella ricostruita e raccontata da Massimo Asta nel libro Un rivoluzionario del Novecento, edito da Carocci. Lo hanno definito un intellettuale in bilico tra Sorel, Lenin e Gramsci, un rivoluzionario di professione. Di sicuro c'è che l'esponente comunista è una protagonista indiscusso nella storia del movimento operaio italiano del Novecento, nella formazione della cultura economica del Pci, nell’elaborazione della sua linea meridionalista

di F. Q.

Non è vero. È falso, è falso“. È 16 settembre del 1944 e don Calogero Vizzini, lo storico boss di Cosa nostra, è nervoso. Nella piazza di Villalba – il suo regno da mille e poco più anime nel cuore agricolo della Sicilia, sole che brucia le campagne e contadini piegati al padrone dalla violenza dei mafiosi – i comunisti si sono permessi di venire a tenere un comizio. Anzi non i comunisti: il numero uno del Partito comunista in Sicilia. In quella piazza di Villalba, minuscola capitale della mafia agraria, è arrivato addirittura Girolamo Li Causi, dirigente rosso che quindici anni di carcere fascista non sono riusciti a piegare. Una figura fondamentale della sinistra italiana, ricostruita e raccontata da Massimo Asta nel libro Girolamo Li Causi, un rivoluzionario del Novecento, edito da Carocci.

Storico e ricercatore all’università di Sciences Po, a Parigi, Asta ha raccolto una vasta documentazione inedita tra l’Italia e Mosca, per analizzare il percorso politico di Li Causi, nativo di Termini Imerese, in provincia di Palermo. Già determinante nel Psi massimalista di Serrati, convertito al comunismo nel 1924, dopo la scarcerazione Li Causi si unisce ai partigiani. Quindi viene mandato in Sicilia per organizzare il Pci, di cui sarà primo segretario sull’isola.

Lo hanno definito un intellettuale in bilico tra Sorel, Lenin e Gramsci, un rivoluzionario di professione. Di sicuro c’è che Li Causi è una protagonista indiscusso nella storia del movimento operaio italiano del Novecento, nella formazione della cultura economica del Pci, nell’elaborazione della sua linea meridionalista, nel processo che avrebbe condotto negli anni Sessanta alla reinvenzione di un’antimafia di Stato. Già l’antimafia. Nata forse quel giorno di settembre del ’44 a Villalba. Quando la polizia e i carabinieri consigliano a Li Causi e i suoi di non andare a parlare nel regno di don Calò, di non provocare il patriarca mafioso, legato alla Democrazia cristiana e ai separatisti che in quei mesi lavorano per tentare di fare della Sicilia la 49esima stella degli Stati Uniti d’America.

E infatti l’inizio di quel comizio è difficoltoso. Anche perché, arrivati nella piazza a bordo di un camion, i comunisti si rendono conto che non possono cominciare a parlare. Il motivo? Le campane della chiesa suonate continuamente dall’arciprete di Villalba, che è il fratello di don Calogero. “Passò quasi un’ ora: gli uomini aspettavano nervosi, le campane assordavano la piazza, don Calogero fumava. Finalmente il suono finì e il comizio poté cominciare”, ricostruì sull’Espresso Eugenio Scalfari nel 1956. All’inizio non c’era nessuno, a parte Li Causi e i suoi amici democristiani e separatisti. Piano piano, però, arrivarono una serie di curiosi che apprezzavano i concetti espressi da Li Causi: le terre da togliere ai latifondisti protetti dai gabellotti mafiosi per distribuirle ai contadini. È a quel punto che Vizzini perde la calma forse per l’unica volta nella sua vita: “Non è vero. È falso, è falso“. Fu una specie di segnale: da nulla comparvero una serie di pistole, subito utilizzate contro il palco improvvisato dei rossi e persino alcune bombe a mano. Diversi i feriti, compreso Li Causi che venne colpito a una gamba.

Più volte deputato e senatore, eletto all’Assemblea costituente, il dirigente comunista era anche tra gli obiettivi della strage di Portella della Ginestra il primo maggio del 1947. Episodio sul quale Asta ricostruisce una parte totalemente inedita: poco dopo l’eccidio, infatti, Li Causi ha dovuto utilizzare tutta la sua autorità per impedire una “rappresaglia fuori controllo contro noti esponenti mafiosi e alcuni latifondisti” che un gruppo di comunisti avrebbe voluto mettere in atto sull’onda dell’emozione prodotta dalla strage. Quattordici morti, decine di feriti, tra contadini, donne, bambini che festeggiavano la festa dei lavoratori. Pochi giorni prima il Blocco del popolo aveva vinto le elezioni regionali in Sicilia con il 32% (contro il 20% della Dc). Occorreva un segnale. Si manifestò con le armi di Salvatore Giuliano, della sua banda, e probabilmente non solo. D’altra parte quella di Portella è una strage ancora oggi irrisolta. La prima di una lunga serie nell’Italia repubblicana.

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