Giorgio Giulio Fumagalli, nato in Brianza 33 anni fa, dopo un'esperienza nel Regno Unito ha deciso di rientrare, anche se lascia una porta aperta: "Se dovessero arrivare delle proposte allettanti ci penserei. Viaggiare ci rende delle persone e dei professionisti migliori”
Nell’immaginario comune il ricercatore italiano ha sempre la valigia in mano, pronto a partire per andare a prendersi un futuro migliore. Eppure non mancano quelli che decidono di concedere una chance al nostro Paese. È il caso di Giorgio Giulio Fumagalli, nato in Brianza 33 anni fa, che dopo la laurea in Medicina e la specializzazione in Neurologia presso l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, ha vinto una borsa di studio per lavorare al Dementia Research Centre dell’University College di Londra: “Un’esperienza di un anno che mi ha arricchito sotto tutti i punti di vista, ho avuto modo di conoscere persone splendide, che mi hanno insegnato moltissimo dal punto di vista umano e scientifico”, racconta a ilfattoquotidiano.it.
Un passaggio fondamentale per chi, come lui, coltiva da sempre il sogno della ricerca: “Sono sempre stato attratto da questo ambito, perché mi permette di dare un contributo più ampio e di applicare le mie conoscenze per fare del bene al maggior numero di persone possibile”, sottolinea. Una volta terminata la borsa di studio, però, Giorgio ha deciso di dare un’opportunità all’Italia: “Ovviamente ho avuto il dubbio di restare a Londra o andare altrove e non è stato facile venirne a capo – ammette -, poi quando la rete Airalzh Onlus mi ha offerto la possibilità di tornare a lavorare al Policlinico di Milano ho deciso di accettare”. Con uno spirito più che positivo: “Le cose possono funzionare anche in Italia e io credo fermamente nell’idea di poter aiutare la mia comunità da qui – spiega -. Quello che conta è cercare collaborazioni proficue e trasferire le conoscenze acquisite all’estero”.
Grazie all’Airalzh Onlus, associazione italiana che promuove e sostiene la ricerca medico-scientifica sull’Alzheimer in partnership con Coop, Giorgio ha l’opportunità di andare avanti con i suoi studi: “Spesso si tende a confondere la demenza senile con l’Alzheimer, ma questa dicotomia è sbagliata. L’Alzheimer è la più diffusa delle forme di demenza, ma ne esistono altre e ognuna di esse è accompagnata da disturbi specifici”. Ovviamente anche l’approccio e le cure cambiano a seconda della situazione: “La ricerca che sto sviluppando mi permette di migliorare la diagnosi attraverso la misurazione dei solchi cerebrali – racconta -, e in casi come questi la tempistica è fondamentale, perché la malattia aggredisce il sistema nervoso in modo silenzioso già molti anni prima che si manifestino i primi sintomi visibili”. Uno studio che sta portando a risultati tangibili: “Più precisa è una diagnosi, più mirata sarà la terapia che riceverà il paziente”, sottolinea.
Aspetto non da poco, considerato il sempre più alto tasso di diffusione delle demenze: “È bene però sottolineare che queste patologie sono sempre esistite, anche se venivano chiamate in modo diverso – spiega -, ma in questa fase storica ne registriamo un picco legato all’aumento dell’età media”. Oggi, dividendosi tra il lavoro di ricercatore e quello di medico ospedaliero, Giorgio vede il suo futuro in Italia: “Mi piacerebbe crescere qui i miei figli – ammette -, e poi vederli andar via per tornare pieni di nuove esperienze, proprio come è stato per me”. Una porta, però, è sempre giusto tenerla aperta: “Se dovessero arrivare delle proposte allettanti ci penserei – conclude -, d’altronde viaggiare ci rende delle persone e dei professionisti migliori”.