FATTO FOOTBALL CLUB - Ci sono giocatori che cambiano dieci club e praticamente non festeggiano mai, anche contro squadre che non hanno rappresentato nulla o quasi. Tra Bonucci e la Juve è andata un po' diversamente e lui ha spiegato: “È stato emozionante tornare qui, ero dubbioso se esultare. L’ho fatto dopo aver sentito l’accoglienza che mi è stata riservata”
Lo stacco imperioso in mezzo all’area, il colpo di testa vincente, il dito portato davanti alla faccia e l’esultanza sotto la curva. Al minuto 28 di Juventus-Milan è andato in scena uno spettacolo che all’Allianz Stadium hanno visto tante volte nel corso degli ultimi anni: Leonardo Bonucci che festeggia un gol, alla sua maniera. Solo che stavolta a doversi “sciacquare la bocca” erano proprio i tifosi juventini. E già bordate di insulti e fischi fino al novantesimo.
Siamo di nuovo di fronte al gol dell’ex e al dilemma dell’esultanza: un classico della nostra Serie A. Dal gol di Ronaldo contro l’Inter nel derby del 2007, celebrato con un sorriso di troppo di cui forse anche lui si è un po’ pentito, ai tanti ex del calcio moderno che non possono esultare una giornata sì e l’altra pure, per quante squadre hanno cambiato: la questione si ripropone praticamente ogni domenica. Giusto qualche ora prima, ad esempio, Danilo Cataldi si era regolato esattamente nella maniera opposta: lui romano e laziale, cresciuto con la maglia biancoceleste addosso, segna all’Olimpico una rete per il Benevento già retrocesso che rischia di pregiudicare la corsa Champions della Lazio e quasi si scusa davanti ai tifosi.
Bonucci, però, non è proprio un ex qualsiasi: il suo passaggio dalla Juve al Milan è stato il trasferimento dell’estate. E a Torino si aspettavano un minimo di riconoscenza dal difensore della nazionale: sette anni passati insieme, tanti trofei vinti (e soldi guadagnati), la consacrazione a centrale di livello mondiale; sicuramente Bonucci deve tanto alla maglia bianconera. Ha spiegato lui perché non l’ha dimostrata al momento del gol: “È stato emozionante tornare qui, ero dubbioso se esultare. L’ho fatto dopo aver sentito l’accoglienza che mi è stata riservata” (non proprio tenera, a dire il vero). Un’esultanza per il suo ego (che si sa, è smisurato), per rivalsa, forse anche un pizzico di ripicca dopo un addio burrascoso. E se così sentiva, Bonucci – che pure non è proprio “mister Simpatia”, anzi forse è sempre stato un po’ sopravvalutato – ha fatto bene.
Sembrerà contraddittorio, ma Bonucci e Cataldi pur comportandosi in maniera opposta hanno entrambi ragione. Festeggiare un gol o meno è e dev’essere sempre una questione personale. Il calcio ha bisogno di emozioni, sentimenti, non necessariamente e per forza positivi, piuttosto che le solite buone azioni da Libro cuore. Cataldi, laziale vero, era spontaneo; Bonucci, primo tifoso di se stesso, ferito dalla fine di un amore, pure. Invece ci sono giocatori che cambiano dieci club e praticamente non festeggiano mai, anche contro squadre che non hanno rappresentato nulla o quasi. Oppure altri che prima chiedono il trasferimento, magari forzando la mano ai presidenti, e poi alzano le mani in segno di rispetto nei confronti dei tifosi (vedi Higuain contro il Napoli, salvo poi dimenticarsene la stagione successiva: è bastato un anno per scrollarsi di dosso ogni ricordo). Viva l’esultanza di Bonucci, allora. Forse un po’ ingrata, ma sincera.
Twitter: @lVendemiale