Il presidente egiziano uscente Abdel Fattah Al-Sisi ha stravinto le elezioni con il 97,08% delle preferenze. Il suo sfidante, sostenitore e candidato all’ultimo minuto, Moussa Mustafa Moussa, si deve accontentare di un misero 2,92% superato anche delle schede non valide, circa il 7%. La commissione elettorale egiziana ha comunicato i dati definitivi delle consultazioni presidenziali confermando i risultati preliminari e quello che già tutti davano per scontato.
La vera incognita di questo voto, cioè l’affluenza, si attesta al 41,05%. Ma sull’effettivo numero dei votanti mancano rilevazioni indipendenti: le 54 ong locali e internazionali che hanno monitorato il voto non hanno contestato il dato, cosa che accadde invece 4 anni fa, quando gli osservatori avevano rilevato un’affluenza del 20% inferiore rispetto a quella ufficiale (47,5%).
Di questi giorni successivi al voto resteranno soprattutto gli strascichi di un’elezione caratterizzata da un clima di repressione e da una certa ansia da prestazione da parte del sempre più ristretto circolo di potere del presidente. E’ ancora accesa, infatti, la polemica sulla pressione che le autorità egiziane avrebbero esercitato per spingere gli elettori al voto. In particolare sulla multa di 500 lire egiziane, circa 25 euro, annunciata al terzo e ultimo giorno di voto (in cui le urne hanno chiuso con un’ora di ritardo sempre per paura della bassa affluenza). Il quotidiano al Masry al Youm giovedì scorso ha sostenuto in prima pagina ciò che avevano già scritto alcune testate internazionali: cioè che i partiti politici, i parlamentari e le istituzioni vicine al presidente Sisi avrebbero spinto in tutti i modi, anche in cambio di denaro, gli egiziani al voto.
Lo sgarro alla propaganda di governo potrebbe costare caro al giornale: la testata è già stata denunciato alle autorità da un famoso avvocato filo regime, Samir Sabry, con l’accusa di
aver insultato la popolazione egiziana. Non solo: nei giorni scorsi lo State Information Service, l’organismo del Ministero dell’informazione che si occupa dell’accreditamento dei giornalisti, ha annunciato che i reporter stranieri che hanno coperto questo voto in maniera non professionale verranno citati in giudizio.
Un avvertimento che affina il paradosso di un voto senza candidati che ha visto 3 dei potenziali avversari di al-Sisi arrestati prima ancora di portare le firme necessaria alla commissione elettorale. L’ultimo di loro, l’ex capo di stato maggiore Sami Anan, è stato rilasciato dopo la chiusura delle urne.
Il sentimento prevalente è l’apatia, unita a una disapprovazione verso le politiche dell’ex generale che, però, è impossibile da manifestare apertamente. Eppure, a dispetto della situazione, il secondo mandato dell’ex generale al-Sisi potrebbe non essere l’ultimo. Il presidente rieletto ha già annunciato che nei prossimi 4 anni proseguirà la realizzazione delle grandi opere, come la nuova capitale amministrativa, e la ristrutturazione del sistema dei sussidi sull’acquisto dei generi di prima necessità, la cui ulteriore riduzione è stata momentaneamente rimandata al prossimo anno fiscale per evitare lo scontento popolare prima del volto. Ma c’è un punto, più squisitamente politico, che è già emerso negli ultimi mesi: la sua aspirazione a diventare presidente a vita. Alcuni parlamentari vicini ad al-Sisi avevano già parlato di modificare il vincolo di mandato presente in Costituzione e diversi analisti confermano che una modifica costituzionale più ampia potrebbe essere tra i primi punti dell’agenda del presidente. “Una revisione costituzionale è molto probabile. Potrebbe contenere modifiche anche ai poteri del parlamento e alle modalità di nomina del primo ministro per aumentare il potere del presidente”, spiega Clément Steuer, esperto di politica egiziana del centro studi Cedej del Cairo.
Non è chiaro se al-Sisi riuscirà davvero nell’impresa di restare alla guida dell’Egitto per decenni come accaduto ai tre precedenti dittatori, Nasser, Sadat e Mubarak. Rispetto a loro una delle differenze principali, in termini di visione politica, è l’assenza di una maggioranza parlamentare organizzata. Al regime, infatti, manca un’entità di supporto in grado di sostituire il Partito Nazionale Democratico, strumento essenziale di controllo durante il regime di Mubarak: non a caso, la sua sede venne data alle fiamme durante i giorni della rivoluzione di piazza Tahrir e sino alla sua demolizione ha rappresentato un simbolo per gli attivisti rivoluzionari.
Con l’opposizione indebolita, uno degli ostacoli principali alle mire assolutiste del presidente sono poi le fumose dinamiche all’interno del potente consiglio militare egiziano. Al-Sisi, dopo il balletto di nomine che ha visto la sostituzione del capo di stato maggiore e del capo dell’intelligence generale, sembra sempre più solo e i malumori tra i militari, che già nel 2014 non approvavano la sua discesa in campo dopo il colpo di stato, appaiono crescenti. Per questo non è escluso che nel corso di questo nuovo mandato il presidente possa tentare di depotenziare ulteriormente il ruolo del Consiglio Militare Supremo. “E’ possibile che la nuova futura costituzione dia al presidente il potere di nomina diretto del Ministro della Difesa, sottraendo la prerogativa all’esercito”, conclude Steuer. Soltanto ipotesi, per il momento. Ma dopo i numeri plebiscitari di queste presidenziali, che mostrano soprattutto l’impossibilità del popolo di opporsi attivamente al generale, è chiaro che la continuità della sua leadership politica si giocherà soprattutto all’interno delle élite militari.