Israele ha annullato a sorpresa l’espulsione verso il Ruanda di migliaia di migranti eritrei e sudanesi: la deportazione doveva iniziare nel giorno di Pasqua ma che era stata temporaneamente bloccata dalla Corte Suprema, cui si era ricolta una associazione di migranti. Nel frattempo, ha reso noto il governo, è stata raggiunta con l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati un’”intesa senza precedenti” in base alla quale 16.250 migranti saranno invece estradati gradualmente verso Paesi occidentali. Tra gli Stati che li accoglieranno, ha annunciato il premier Benyamin Netanyahu ci sono Italia, Germania e Canada. Ma fonti della Farnesina dicono all’Ansa: “Non c’è alcun accordo con l’Italia nell’ambito del patto bilaterale tra Israele e l’Unhcr per la ricollocazione, in cinque anni, dei migranti che vanno in Israele dall’Africa e che Israele si è impegnata a non respingere”. E in effetti anche da Tel Aviv è arrivata una smentita: “L’Italia era solo un esempio di un paese occidentale: il primo ministro non intendeva in modo specifico l’Italia” ha detto una fonte dell’ufficio di Benyamin Netanyahu rispondendo ad una domanda dell’Ansa sulle affermazioni del premier.
Contro le espulsioni nelle settimane precedenti erano state firmate petizioni e appelli da parte della società civile, dai religiosi e intellettuali. I giudici non avrebbero permesso al governo di deportare sudanesi e eritrei nei loro Paesi di origine e avevano chiesto conto di presunti accordi segreti con Uganda e Ruanda riportati dalla stampa. Nei giorni scorsi il primo ministro aveva puntato il dito contro immigrati illegali di “essere peggiori dei terroristi del Sinai”. “Senza il muro costruito lungo il confine con l’Egitto” ha sostenuto Netanyahu, “ci troveremo di fronte a gravi attacchi da parte dei terroristi del Sinai e anche qualcosa di molto peggio, un’ondata di migranti illegali dall’Africa”.
Effettivamente la barriera Egitto-Israele si estende per 242 km – dalla Striscia di Gaza a Eilat sul Mar Rosso – è stata completata in gran fretta nel 2014. Negli anni che hanno preceduto la costruzione del Muro, circa 50mila africani hanno pagato prezzi esorbitanti ai beduini per raggiungere lo Stato ebraico. Nella maggior parte di tratta di eritrei e somali, in fuga dalla guerra nei loro Paesi. Ma Israele li ha considerati dei migranti economici e ha negato loro lo status di rifugiati e quindi di lavorare legalmente relegandoli “al sommerso”.
All’ufficio del premier in queste settimane sono arrivate migliaia di lettere contro il provvedimento. Fra queste ce n’è una indirizzata personalmente a Benjamin Netanyahu e non può non averla notata perché firmata da 36 sopravvissuti all’Olocausto che avevano scritto di non riconoscersi nello Stato Ebraico che lui tratteggia per il futuro e che il suo piano di deportazione snatura l’essenza di Israele. Il 24 marzo scorso oltre 20mila israeliani hanno partecipato a Tel Aviv ad una manifestazione di protesta contro le espulsioni.
Secondo quanto riferisce la stampa, che cita un comunicato del governo, l’espulsione di quei migranti avverrà in tre fasi nell’arco di cinque anni. Israele da parte sua accetta di regolarizzare lo status dei rimanenti migranti (profughi, nuclei familiari già radicati, anziani, malati in condizioni gravi) che saranno dispersi nel suo intero territorio in modo di alleviare le condizioni del quartieri poveri di Tel Aviv dove finora erano concentrati. In Israele risiedono oggi complessivamente circa 37migranti africani. Alla luce di questa importante intesa con l’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati, si legge nel comunicato, sono divenute superflue le imminenti espulsioni verso “un Paese terzo’ africano (il Ruanda, secondo la stampa). In passato il governo aveva informato la Corte Suprema di aver sottoscritto con quel Paese accordi di accoglienza per i migranti provenienti da Israele. Ma in merito, precisa il comunicato, sono poi insorte ”difficoltà politiche”.