Si allarga a oltre 100 milioni, tra contestazioni fiscali ed aiuti di stato illegali, il buco del superconsorzio dell’informatica di Stato Cineca. “Se è per quella vicenda del Fisco non rispondiamo”, fanno sapere dall’ufficio stampa. Pesa come un macigno la notizia, rivelata dal fattoquotidiano.it, di una richiesta dell’Agenzia delle Entrate da 60 milioni di euro per tasse non pagate dal 2011 al 2015 aggravata dalla decisione dei vertici e dello stesso ministero di far cadere la proposta di conciliazione del Fisco per 25 milioni di euro. Ma non è tutto. C’è anche una sentenza esecutiva che ha imposto al consorzio delle università di restituire 18,7 milioni di euro e un’altra pendente per altri 25,5. Sono i contributi ministeriali erogati dal Miur per le attività di supercalcolo che il Tar ha imposto di restituire allo Stato perché di fatto si configurano come aiuti di stato a un’impresa, posto che Cineca non è ente pubblico ma – come recita il primo articolo del suo statuto – un ente di diritto privato.
In viale Trastevere si convocano riunioni sul caso ma nulla trapela. Il garbuglio, del resto, è complicato. Tocca anche capire chi ha responsabilità per questa bomba esplosa a Casalecchio di Reno che potrebbe fare danni anche a Roma, visto che il Miur – per statuto – vigila su attività e bilanci dell’ente di cui è socio di maggioranza. Di certo ministero e consorzio hanno lasciato cadere l’occasione di patteggiare col Fisco la riduzione di un terzo delle pretese. I motivi sono essenzialmente due. Da un parte è in corso il tentativo di difendere su tutta la linea le ragioni dell’ente, sulla non imponibilità del contributo pubblico erogato ogni anno per 11 milioni di euro che Cineca utilizza al servizio delle università consorziate per le attività di “supercalcolo”. La linea è sommariamente riassunta dalle parole della delegata della Sapienza nel consiglio di Cineca, già membro del cda fino al 2017, Tiziana Catarci: la pretesa del Fisco di tassare i contributi ministeriali sarebbe assurda, perché “allora andrebbero tassati anche quelli di tutte le università che ricevono fondi ordinari a rendicontazione, come quelli per gli studenti disabili: ci mettiamo a pagare l’Iva anche su quelli?”. L’altro ha a che vedere con le conseguenze penali della vicenda.
La girandola dei pareri (pagati e ignorati)
I vertici dell’ente avevano chiesto (e pagato) almeno sei pareri di esperti in materia tributaria e penale che caldeggiavano l’adesione entro il 5 marzo alla risoluzione bonaria della controversia. Su quella scelta, come ricostruito dal fatto.it, si è prodotta una frattura tra presidenza e amministratori del consorzio. Il presidente era per l’adesione anche per limitare gli effetti di una condanna per “dichiarazione infedele” a suo carico e dei legali rappresentanti che si sono succeduti. Niente da fare. Il Consorzio, tramite il proprio CdA che, per quanto risulta, ha votato contro l’adesione e il Consiglio Consortile che non si è riunito per mancanza del numero legale, hanno fatto scadere i termini per l’adesione.Il ministero sembra spiazzato dalle notizie, e informalmente fa sapere di essere in attesa di un parere dell’Avvocatura di Stato che dovrà dare indicazioni su come muoversi per uscire dalla vicenda col minor danno e senza violare le leggi.
L’impresa che non tassa i suoi utili
Il problema è che il Cineca che tenta di far valere la propria natura pubblica, in virtù della quale rivendica il diritto a non pagare le tasse sui contributi statali che riceve, è un consorzio di diritto privato che svolge prevalentemente attività commerciale. Quindi “fa impresa” quando fattura beni e servizi sul mercato, come hanno acclarato l’Antitrust (nel 2010 e 2013) e varie sentenze del Tar e del Consiglio di Stato (l’ultima l’anno scorso). E i contributi pubblici alle imprese commerciali vanno tassati, per legge. Nel determinare i propri utili Cineca deduce tutti i costi, compresi quelli di acquisto e quelli relativi al “supercalcolo” finanziato con i contributi del ministero. Quindi, se non espone i contributi Miur come “sopravvenienze attive” a ricavo in bilancio (dunque non li espone a tassazione come contestato dall’Agenzia), ma invece ne deduce i costi (come ha fatto), quell’attività di Supercalcolo giocoforza genera una perdita che compensa integralmente gli utili realizzati con l’attività “commerciale” ordinariamente svolta (i vari servizi fatti alle università e a terzi). In questo modo, non tassando i contributi, tramite compensazione della perdita sopraddetta Cineca non tassa gli utili generati dalle attività svolte “a mercato”, con buona pace dei “concorrenti” che non potrebbero competere.
La cosa sarebbe stata diversa se Cineca non fosse stato un ente commerciale, perché in relazione all’attività “non commerciale” svolta con il supercalcolatore non avrebbe dedotto costi e non avrebbe dovuto tassare i contributi: l’eventuale attività commerciale svolta in via residuale, sarebbe rimasta comunque tassata. Questo meccanismo che certo è funzionale ai bilanci serve anche a coprire il rischio che emerga la reale natura di quei fondi, riassumibile in tre parole: si chiamano aiuti di Stato e sono illegali. Lo ha del resto acclarato un anno fa la condanna del Tar del Lazio a restituire quelli ricevuti nel 2015 per 18,7 milioni di euro (per il 2016 si attende la fissazione dell’udienza). Per fare “il gioco di prestigio” i bilanci del Cineca approvati nei vari anni non rispettano nemmeno lontanamente le prescrizioni dei principi contabili relative ai contributi pubblici.
L’evasione dell’Iva
La questione IVA è analoga ma più complessa, ma anche su quella Cineca rischia di andare a sbattere in giudizio. Il nodo è come veniva contabilizzato il contributo pubblico ai fini del calcolo dell’imposta sul valore aggiunto ammessa in detrazione ed alla liquidazione dell’imposta annualmente dovuta. In sede di dichiarazione, gli amministratori computavano l’Iva sugli acquisti in modo integrale, ossia comprendendo sia l’imposta assolta sugli acquisti specificamente afferenti le attività commerciali esercitate, sia quello relativo a tutti gli altri acquisti afferenti anche le attività a fronte delle quali il Cineca compilava il prospetto da trasmettere al Ministero dell’Università e della Ricerca percependo, di conseguenza, il contributo escluso da tassazione ai fini delle imposte sui redditi di cui si è detto sopra. Per tale motivo l’ente provvede a richiedere annualmente anche rimborsi dell’I.V.A. assolta sul totale degli acquisti nell’ordine, anch’essi di svariati milioni di euro. Che ora è chiamato a restituire e con gli interessi. Perché si è arrivati a questo punto? La contestazione dell’Agenzia delle Entrate ha reso evidente – quantificandolo – l’accumulo di indebiti vantaggi fiscali che hanno permesso a Cineca di incamerare risorse a sostegno delle sue attività (tutte, anche imprenditoriali). Così come è ormai storicizzata la questione della sua irresistibile ascesa nell’informatica di Stato: giocando sulla sua natura giuridica mista pubblico-privata, il consorzio è riuscito a imporsi come monopolio di mercato (in particolare quello dei prodotti per le Università, come rilevato nei pareri dell’Antitrust) che cresce grazie a contributi pubblici dal MIUR e affidamenti diretti senza gara da parte dei consorziati.
I precedenti (ignorati) e la responsabilità del Miur
La vicenda non è esattamente “un fulmine a ciel sereno”, tanto per i vertici dell’ente quanto per il Miur. Il Fisco, la Corte dei Conti e la Procura di Bologna avevano bussato a quelle porte per gli stessi motivi nel 2009, contestando tra le altre cose otto milioni di tasse non pagate per il triennio 2004-2006. I meccanismi erano gli stessi di oggi e l’allora presidente Mario Rinaldi evitò l’imputazione per dichiarazione infedele per il rotto della cuffia: alla sua condotta venne riconosciuta la mancanza di dolo e la buona fede. Un “errore”, si scrisse allora, con una certa clemenza dovuta verosimilmente al fatto che Cineca era allora un ente pubblico non commerciale, mentre dal 2006 ha cambiato pelle e sostanza assumendo la natura giuridica di ente commerciale, ma proseguendo a non quantificare/versare l’Iva su costi e acquisti con proprio esponenziale vantaggio nei bilanci.
A distanza di 14 anni (e di svariati milioni) si può ancora parlare di “errore”? E che dire del Ministero dell’Istruzione? All’epoca il Miur, oggi assai silente sulla vicenda, si poteva considerare anche “parte offesa”, non avendo per altro cariche societarie o rappresentative all’interno del Cineca. Ma dal 2006 ne è il socio di controllo. Ed è proprio sotto la guida del ministero, che ogni anno ne vidima i bilanci ed esercita la vigilanza sull’ente “per statuto”, che Cineca è riuscito a imporsi come gigante dell’informatica di Stato con 600 dipendenti e un bilancio su cui passano 100 milioni di euro l’anno.
Come se ne esce? Come ha indicato l’Unione Europea, quando è stata sottoposta la questione della natura giuridica del consorzio: bisognerebbe “spacchettare” il consorzio, separando attività istituzionale e commerciale, in modo da rendicontarle distintamente e pagare le giuste tasse. Ma facendo questo, Cineca dovrebbe rinunciare all’Eden che gli ha permesso di diventare una potenza: la manna dei finanziamenti ministeriali insieme alla possibilità di operare come impresa di mercato senza concorrente perché beneficiaria di affidamenti diretti senza gara presso tutti gli atenei consorziati. Se la dividi, insomma, perdi 30 milioni di contributi e in più devi competere sul mercato. Il gigante coi piedi d’argilla, a quel punto, crollerebbe.